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IL GESTO DI PEDRO
(Roma-Sampdoria 1-0 del 14 dicembre 1975) Atto SestoL’ATTO VI del progetto DIECIPARTITE è dedicato all’odissea umana del calciatore Carlo Petrini, detto Pedro, scomparso nel 2012.
Petrini è stato autore di vari libri, tra cui ‘Nel fango del Dio pallone’, una violenta rapsodia autobiografica capace di suscitare un vero terremoto nel mondo del calcio.
In una partita giocata il 14 dicembre del ’75, Petrini, che vestiva allora la maglia della Roma, si rese protagonista di un gesto tanto semplice quanto sconcertante. Dopo essersi divorato una serie di gol già fatti, conquistò il centro del campo e alzò le mani per chiedere scusa a tutto lo stadio. Poco dopo segnò il gol della vittoria.
Questo ricordo è la chiave per addentrarsi nel cuore di un sistema calcio feroce e cannibale che ha fatto da scenario alla peripezia tragica di un uomo perseguitato dai farmaci, dalle procure, dagli usurai, e soprattutto da se stesso.
La conversione morale e letteraria di Petrini, susseguente alla tragica morte di suo figlio diciannovenne, è un evento di tale portata esistenziale da suscitare domande di significato assoluto. Una vera redenzione, nel senso più forte del termine. -
GIRO A VUOTO
Gli stornelli intellettuali per Laura BettiLibro con CD audio allegato.
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BALLATA NOTTURNA PER OSCAR WILDE
In occasione del debutto dello spettacolo musicale BALLATA NOTTURNA PER OSCAR WILDE, scritto da Valeria Moretti, diretto e interpretato da Gianni De Feo, è stato pubblicato il primo “organetto” dalla casa editrice La Mongolfiera. Un piccolo libro a forma, appunto, di ”organetto” che contiene alcuni estratti del testo. Si tratta di un affresco appassionato e ironico dove a narrarci la vita dello scrittore irlandese è un “curioso” personaggio inventato dall’autrice. Un’incursione nell’estetismo e nel decadentismo con inedite propaggini che ci conducono all’oggi.
Si affaccia anche, tra i teatri e i boulevards parigini dove la vicenda è ambientata, la vibrante presenza di Sarah Bernhardt, grande protagonista dell’epoca, che condivideva con Oscar Wilde il gusto della stravaganza e dell’eccesso.
L’”organetto” di Valeria Moretti propone insieme agli estratti del testo teatrale, alcune curiosità su personalità della Belle Époque come Cléo de Mérode, sulfurea “femme fatale”, icona della storia della fotografia riprodotta ovunque: dalle cartoline ai pacchetti di tabacco. Una pagina è dedicata alla contestata figura di Costance, moglie di Wilde, per la quale l’autrice spezza una lancia a favore. Per esempio ricorda che, seppur malata, volle recarsi lei stessa in carcere – dove il marito era recluso dopo la condanna per sodomia – per annunciargli la morte della madre. Il tutto corredato di immagini. -
UN VECCHIO GIOCO
In un luogo imprecisato, un seminterrato che potrebbe trovarsi proprio sotto i nostri piedi, una strana coppia. La solidità del legame è garantita dalle premesse non proprio convenzionali con cui avviene l’incontro tra lui e lei, che solo a un certo punto ci è dato conoscere. I due scoprono di essere accomunati da un passato molto simile, vissuto in un villaggio residenziale dall’apparenza rassicurante, e toccato a un certo punto da qualcosa di oscuro. Qualcosa su cui entrambi fondano la propria esistenza; e che, come non ci fosse per loro altra possibilità, hanno bisogno di perpetuare con la collaborazione di un malcapitato di turno. L’azione si sviluppa e procede attraverso la “storia” in maniera non lineare. Un puzzle di cui il pubblico è chiamato a rimettere insieme i pezzi. Un gioco delirante in cui sembra non poterci essere altro ruolo, per i differenti personaggi, se non quello di vittima, complice o carnefice; e come per loro, così per lo spettatore.
TEATRO 88
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BOCCAPERTA
MAI NATEBOCCAPERTA
Un ragazzo con la vocazione alla rappresentazione e al trasformismo gioca a mettere in scena la propria famiglia, i personaggi e alcuni episodi fondanti e a volte tipici di una certa preadolescenza di provincia; per raccontarli, in una chiave spesso ingenua e surreale, al principale confidente e punto di riferimento: il proprio amico immaginario. Attraverso questo processo di rappresentazione di sè e del mondo che lo circonda, si svolgono le tappe attraverso cui il personaggio dà vita a un “monologo di formazione” a più voci. Una sorta di personalissimo teatrino, alla fine del quale il nostro riuscirà a conquistare un oggetto da sempre desiderato – un paio di jeans – con l’aiuto dell’amico immaginario, poco prima che questi sparisca per sempre.MAI NATE
Si tratta di una rivisitazione al femminile del primo testo scritto dall’autore. Due gemelle senza età chiuse dentro la propria camera, come personaggi beckettiani che aspettano il loro Godot, giacciono in un’infinita e claustrofobica attesa della madre. Diversi temi si incrociano: la paura, la fragilità, la difficoltà di nascere alla vita, la ricerca della libertà e della salvezza da un ambiente familiare violento, l’abbandono. Per le due la vita scorre come un lento rito che si ripete sempre uguale a se stesso, le stesse parole e battibecchi, le stesse ossessioni; lo scorrere del tempo è scandito da giochi infantili, vecchie sveglie e letture di improbabili articoli di giornale. Ma è proprio attraverso questa liturgia quotidiana che accade, un giorno, qualcosa di nuovo.TEATRO 83
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SUL GOLGOTHA
Testi di Dante Maffia, Carmelo Mezzasalma, Cecilia Perri, Francesco Savino, Giuseppe Zumpano.
Opere pittoriche di Mario Pitocco e Serena Maffia -
Dante Maffia tutto ebbe inizio con il nome
“La poesia va diretta al cuore, e incendia la testa. La frequentazione con la poesia, per Maffia, non ammette pause. Il poeta ha bisogno di esprimersi con continuità così come necessita dell’acqua per dissetarsi. La poesia non è qualcosa di importante per la sua vita, è la sua vita.”
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LE STAGIONI DOLCENERE DI ELSA
Non ricordo bene se l’affermazione sia di Oscar Wilde o di Ibsen, in teatro non sono le vicende in sè che producono arte e fanno sentire i brividi della vita, ma come sono poste e interpretate.
Antonella Radogna porge le vicende di quest’opera con la naturalezza che appartiene propriamente al palcoscenico. I protagonisti sono autentici e si esprimoni senza fronzoli e senza atteggiamenti sofisticati, senza mai un accenno di enfasi e senza mai creare situazioni improprie.
Un teatro che ci pone dinanzi alla realtà dei nostri giorni e che tuttavia ha un’aura che arriva da lontano e ci fa sentire la veridicità non solo dei sentimenti, ma anche del groviglio della psiche umana, a volte contorta e sbandata e altre volte spianata verso radure impensate.
Si sente che la Radogna ha attraversato molto teatro con esperienze attive e con molte letture e che perciò ha imparato a dosare le battute, a trovare l’incastro giusto nel dialogare e nel fare apparire con naturalezza il senso recondito delle ragioni dei comportamenti.
Il risultato è questo lavoro che io mi auguro sia presto messo in scena in modo che l’onda umana e poetica con cui è stato concepito possa trovare la giusta rappresentazione e il meritato successo.CARMINE CHIODO
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DONNE DEL SUD
TRILOGIAMaria Pia Daniele nel precorrere i tempi traccia filoni che ancora oggi registrano grande interesse e successo. Rodolfo Di Giammarco l’ha definita la Cassandra del nostro teatro. Tra cronaca e mito, la Trilogia Donne del Sud raccoglie Faide del 1987, la prima Antigone contro la mafia de Il mio giudice, del 1993, e il più recente Cattive madri. Nei luoghi che un tempo furono della Magna Grecia e nella crisi dei valori, protagoniste sono le donne, o depositarie della mentalità patriarcale o eroine del rinnovamento volte al futuro nel rispetto delle regole della vita civile.
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IL MONDO HA SCELTO BARABBA
“Il mondo non muore perchè un giorno il pianeta terra esplode. La fine del mondo coincide con la fine dell’umanità e dissacrando il significato della vita, inesorabilmente ci si avvia verso la fine dell’umanità. Infatti, se milioni di uomini vengono lasciati morire dietro un muro di confine, quale remora può frenare una nazione, che si sente minacciata, a non scatenare anche una guerra atomica?
Nel pensiero corrente, una atomica lanciata su una grande metropoli che mieterebbe milioni di vittime non creerebbe più alcuna impressione, anzi, ci sarebbero ottime giustificazioni, come ottime giustificazioni ci sono adesso lasciando morire affogati o in preda alla fame milioni di persone. Se recuperiamo umanità siamo ancora in tempo a salvare il mondo, perchè se salviamo una vita salviamo noi stessi”. -
MALEDETTO MERIDIONE
“Lo spettacolo edilizio lungo quella strada non era dissimile da altri luoghi: decine di fabbricati a più piani solo con lo scheletro in cemento con i lavori fermi da anni. Monumenti, che oltre ad offendere gli occhi, mortificano l’anima dello spettatore.
I modi per farsi del male al Sud non pongono limiti, spaziano dalla violenza sugli uomini a quella sulla natura.
Mi sedetti ad un tavolino all’aperto di un bar ed ordinai un caffè, in modo per far riposare anche la gamba che molto sollecitata ricominciò a farmi più male”. -
IRENA SENDLER
La Terza Madre del Ghetto di VarsaviaNel Ghetto di Varsavia, in un terreno di circa 4 chilometri quadrati, fu stipato tra la fine del 1940 e la primavera del 1943 quasi mezzo milione di Ebrei, tra cui uno stragrande numero di bambini nell’attesa di morirci di fame e di tifo prima di esserne deportati nei campi di sterminio, prevalentemente ad Auschwitz o a Treblinka. Queste le cifre della cronaca tetra della Shoah subita dagli Ebrei polacchi, che ebbe inizio il 1° settembre 1939 quando le truppe tedesche invasero la Polonia.
La presente Opera rivisita e ripensa, in veste drammaturgica e con dei flashback di accurata ricerca storico documentaristica, la Memoria del Volto Truce del Male perpetrato dalla follia nazista sugli innocenti, i bambini, gli intoccabili, il cui sterminio fu deliberato nel 1941 quale uno dei principali scopi bellici di Hitler. Uno sfondo che purtroppo non può essere mai più cancellato né cambiato, ma in cui si innesta un altro Volto della Verità Storica: un Volto di Alta Umanità, Generosità e Bontà, quale fu quello di Irena Sendler, infermiera e assistente sociale polacca, proclamata Giusta tra le Nazioni nel 1965, per aver salvato, con i suoi collaboratori della resistenza polacca, 2500 bambini dal Ghetto di Varsavia.
Il filo conduttore dell’Opera è quello del magistero di Irena Sendler, con cui si vuole tracciare un ‘testamento etico’ per le presenti e le future generazioni: la Condivisione del Bene e degli alti ideali tradotti in eroiche azioni, che restano iscritti con la Luce, come un dolce raggio dell’Eternità, nell’Oscurità macabra del Male commesso contro la parte più indifesa dell’Umanità.
“Ci sono notti in cui, negli incubi, sento singhiozzi, grida disperate e pianti inconsolabili…” era il pensiero costante che attanagliava Irena Sendler fino alla sua morte avvenuta all’età di 98 anni.
Quest’opera pone il valoroso esempio di Irena Sendler, testimone oculare anche dell’agire dei protagonisti di un circolo letterario del Ghetto di Varsavia, i quali con la parola letteraria e la musica cercarono di sopravviverci spiritualmente (poeti come Szlengel e il pianista Szpilman), facendoli assurgere tutti a metafora globale del Bene più grande che abbiamo, la Giustizia, l’Amore e la Riconoscenza, gli unici con cui possiamo e dobbiamo sottrarci agli orrori della Storia sul cammino del nostro pericoloso oggi e l’incerto domani.
Il sommo magistero della Sendler “che nella vita vale solo che persona si è” insieme a quello talmudico: “Chi salva una vita, salva il mondo intera”Roberto Giordano e Suzana Glavaš
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IL PROGRAMMA
Un atto unico che vede come protagonisti due uomini, Alan e Bryan, e un telefono.
Ci troviamo in un luogo indefinito, potremmo supporre (come potremmo supporre tutt’altro) nella cella di una prigione, in una società invisibile, astratta, che a poeti, letterati, artisti e scienziati riserba un trattamento molto speciale: il programma.
Un testo che lascia infinite possibilità di interpretazione, di gioco scenico (per gli attori) e di messa in scena (per il regista); un testo cangiante, che non rivela e non maschera, ma che lascia camminare il lettore/spettatore sul filo del rasoio tra la comprensione e la dispersione, tra la storia e la non-storia; un’opera che non vuole essere compresa, ma soltanto vissuta. -
OGNI VOLTA CHE GUARDI IL MAREO
Omaggio a Lea Garofalo“… Mirella Taranto ci consegna un ritratto poetico ed epico di due donne, come solo chi ama la parola e le proprie origini riesce a restituire… La Carruba Toscano è mirabile ed intensissima…Triestino, regia creativa ed elegante..:” first-online
“… Scritto magistralmente… eccellente Federica Carruba Toscano e la regia tira fuori dal cilindro idee brillanti… spettacolo imperdibile!” overblog.com
“… Federica Carruba Toscano è intensa protagonista… ogni espressione ne contiene una opposta, ogni nuovo stato emotivo è già preparato nel precedente, ogni sorriso mostra un angolo acre e ogni lacrima o grido aspira ad un anelito di pace e di perdono…:” Laura Novelli – paneacquaculture.net -
FIGLI MARITI AMANTI
Il maschio superfluoLa storia, si snoda in presa diretta come fosse un lungo piano sequenza, inizia di sera e prosegue con l’avanzare della notte all’interno di un sofisticato loft destinato a trasformarsi da dimora accogliente in territorio di scontri e riconciliazioni.
Una coppia, addestrata a battibecchi resi ormai innoqui da una consolidata tradizione di schermaglie domestiche, subisce l’intromissione proditoria di una seconda coppia composta da un vecchio amico in perenne stato di necessità e da una sua recente e assai più giovane compagna. I due trascineranno a casa dei primi l’onda lunga di una litigata furibonda e impietosa che getterà anche costoro in un rutilante vortice di rinfacci senza esclusioni di colpi dando corpo alla messa in campo di un alterco assoluto, denso di colpi di scena e tessuto da battute fulminanti. Daltronde, quando si è in presenza di un contenzioso ad alta temperatura, gli essere umani, per difendersi, sanno affilare le armi verbali al punto che, nel pathos del momento, si rivelano addirittura capaci di comporre endecasillabi perfetti. Due relazioni – una coniugale, l’altra estemporanea – si fonderanno, dunque in una girandola di malintesi e permalosità sino a ricomporre lo scenario di una nuova armonia. Se più forte o più precaria della precedente è materia offerta alla discussione. -
Vaccarizzo Albanese e la sua Banda Musicale (1890-2015)
Il libro racconta i primi 125 anni di storia della Banda Musicale di Vaccarizzo Albanese, paese della Calabria in provincia di Cosenza, attraverso una serie di documenti, articoli, personaggi e foto, dal 1890 al 2015.
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Dante Maffia la forza della parola
“Un omaggio a Dante Maffia, questo vogliono essere le pagine che seguono. Un omaggio doveroso non tanto perché coglie l’occasione del conferimento della cittadinanza onoraria da parte del comune di Cassano all’lonio ma soprattutto perché Maffia è unanimemente riconosciuto come una delle più autorevoli voci della cultura internazionale. È doveroso, questo omaggio, anche perché lui affonda le radici delle sue origini non solo nel paese che gli ha dato i natali e ha nutrito la sua prima formazione, Roseto Capo Spulico, ma anche in Cassano all’lonio, paese natale del padre Salvatore, paese pienamente vissuto dallo stesso Dante” (dall’introduzione).
Per questo omaggio ci è parso opportuno impreziosire la copertina con il mare Jonio, il mare del mito e dei sogni, il mare di Sibari e di Pitagora.
La fotografia, di Maurizio Guarino, dalla foce del Crati, fiume, anch’esso, un mito ancora vivo, apre lo sguardo all’orizzonte per cui viene spontaneo pensare ai versi che Maffia scrive per le figlie: “Come discese da un fiume / che cadenza il suo corso e verdeggiando / abbraccia il mare aperto, dove ci sono / navi pronte a salpare. / L’orizzonte una facondia di sussurri”. Sussurri come potrebbe essere la Grecia d’oriente, madre di quella Sibari che come un lampo illuminò la cultura del nostro territorio tanto che, scrive Dante Maffia, “ancora i sibariti lamentano / sulla riva dello Jonio la caduta / del mistero e l’esaltazione dell’arbitrio. / Crotone non esiste per la poesia”. (Da Di Rosa e di rose).
Se il mare ricorre spesso nelle pagine scritte da Maffia (“sono uomo di mare e di passione”, scrive), lo Jonio in particolare, ha attraversato la sua vita e continua a farlo: “I francesi ti sanno donna / e io lo so perché: / per i tuoi seni immensi, / per la tua tenerezza quando sogni. / Mi piace che m’aspetti e che festeggi / i miei ritorni: / già alla Grilla m’investe l’euforia / delle tue onde. / Ed è bello che non m’assegni colpe / per le mie fughe e i miei dinieghi. / Vorrei sradicare le radici: ne sorridi, / mi accogli allegramente e fai le fusa. / E appena sono in te sento / che t’apri a un’armonia immacolata. / Mi dici: riposati, ti cullo, / dimentica gli affanni, / ci son io / a preservarti dall’invidia. / lo sono la tua sposa / e il tuo futuro. / Devo crederti o uccidere Calipso / che ancora implora ad alta voce Ulisse? / Sei la mia culla. / Sarai la mia bara eternamente?”(Lo Jonio sposa, inedito)
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IL FOLLE VOLO DELLA PAROLA PER LA MUSICA
Saggio sul Teatro d’opera, sulla musica, sui grandi artisti : si passa da Wagner a Nietzsche, da Mozart a Kierkegaard, da D’Annunzio a Wilde, da Matteo Brega ai francesi Barthes e Baudrillard…
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LOUISE BOURGEOIS: FALLI, RAGNI E GHIGLIOTTINE
Louise Bourgeois era una donna eccezionale, ed è una delle più grandi artiste del secolo. Lucida, folle, anticonvenzionale, rigorosa, geniale, umile, straordinaria interprete del femminile, è segnata fin da bambina dalla violenza, dalla sua estrema sensibilità, ed è infaticabile creatrice di sculture intense, agghiaccianti, grottesche, rivelatrici, folgoranti. È famosa per i falli che sono spesso protagonisti delle sue opere o con cui si fa fotografare portandoli sotto il braccio; per i ragni monumentali, sotto cui ci si sente vulnerabili e allo stesso tempo protetti (“i ragni sono la madre”, diceva); per le ghigliottine che sospende sopra le case borghesi e le vite tranquille che racchiudono. E’ il prototipo, non convenzionale, dell’artista, che passa dall’euforia alla depressione, dall’attività frenetica all’immobilismo, dalla creatività alla riflessione. Ed è sorprendentemente, clamorosamente teatrale. II testo che racconta la sua vita e il suo lavoro mette in scena l’essenza di questo essere strano, al tempo stesso vecchia e bambina. Restituisce con le parole le sculture da lei create: tasselli che si compongono e ci restituiscono la figura di una donna affascinante, emozionante, totale. E probabilmente irripetibile.
TEATRO 80
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TI SUONO LE MIE DITA
PER MANO SOLA[…] La vita di Suzana, la vita di ciascuno di noi, ognuno di noi un poeta nella sua vita, costruttore di pezzi da mettere su due piatti di bilancia per poi stare a guardare. Raccolgo i cocci della mia anima, dice la Glavaš; raccogliamo i nostri. Il Male è forte, il Bene è forte e si chiede chi dei due la condurrà alla morte. Facciamo altrettanto. La parola dono la riporta alla parola perdono. E ci chiediamo per chi, perché, ma ce lo chiediamo. Condivisione. Questo chiede e questo chiediamo, tutte le volte che ancora abbiamo la sana abitudine di sfogliare pagine di carta, accoccolati, acconchigliati, come lei dice, disposti ad accogliere poesia. Il poeta provvede a calarci in un abisso in cui trovare luce, ma dobbiamo lasciarci condurre e non pensare che non c’è tempo, non c’è spazio, non c’è vita e natura. Ed è a questo punto che la Glavaš ci ricorda che c’era una volta un Re Signore, che non sapeva odorare i fiori, che non aveva nessuno che gli raccontasse una Favola e forse anche per questo i suoi occhi non avevano luce. E senza luce non c’è meta. La favola del Re Signore è apodittica e svela il senso profondo della poesia. Il senso è si direbbe la necessità del verso. La favola in versi è una ballata col suo ritornello, un rondò, una musica antica. […]
Dalla Prefazione di Maria Gabriella Mariani, pianista compositrice scrittrice
[…] Più silenzi che parole, Suzana parla da nessun luogo, si nasconde agli uomini: dall’oscurità che l’avvolge emerge un brandello del suo animo che descrive la morte come un quadro di Arnold Böcklin. L’Universo vive il tempo di un rimbalzo, che a noi umani appare invece un tempo eterno: un breve abbraccio giustifica la vita, un abbraccio è eterno. Si vive solo di relazione e nella brevità di quei tocchi di pianoforte vi sono le lacrime d’amore o d’amarezza di Suzana. Dice Flaiano, con sarcasmo, che l’Italiano è una lingua parlata dai doppiatori: Suzana Glavaš, Croata, conosce le virtù musicali dell’Italiano meglio di un madrelingua. “L’Arte sentita è una specie di malattia, stato d’animo d’eccezione, sovraeccitazione di ogni fibra, d’ogni attimo”. Così Giacomo Puccini.
È questo il mare increspato di Suzana Glavaš.Dall’Introduzione di Luca Signorini, violoncellista compositore scrittore
Curatele e traduzioni di Suzana Glavaš per la Mongolfiera Editrice e Spettacoli:
Fiora. Dialogo in assenza di Torquato/Cvijeta. Dijalog bez Torquata, dramma, atto unico, edizione in italiano e croato, di Matilde Tortora (cura e traduzione in croato, 2000);
Rebecca nel profondo dell’anima, romanzo sulla violoncellista Rebecca Levi prima durante e dopo la Shoah in Croazia, di Jasminka Domaš (cura e traduzione in italiano, 2000);
Sonetti d’amore (Nuove Versioni)/Zvonjelice ljuvene (Novi prepjevi), per i settecento anni dalla nascita di Francesco Petrarca, edizione in italiano e croato, di Mirko Tomasović (cura e traduzione in italiano, 2003);
Cvijeta Zuzorić/Fiora Zuzzeri quasi una fantasia, dramma, atto unico, rivisitazione contemporanea di due letterate amiche del Rinascimento croato, di Matko Sršen (cura e traduzione in italiano, 2008).