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DOMENICO PARROTTA
1842 – 1892I quaderni della memoria, una collana di ricerche e di materiali in progress, voluta da Cirianni. Il custode delle nostre memorie passate e presenti, individuali e collettive, continua la sua instancabile opera: restituisce alla luce i materiali di quell’immenso archivio della memoria, che è la Biblioteca Diocesana, e riconsegna alla comunità i profili di quanti l’hanno onorata con i loro studi e la loro opera.
La scia lasciata da Biagio Lanza, percorsa da mons. Pennini e dai suoi Quaderni dell’Arcobaleno, si rivela ancora una volta traccia feconda per ricordare personaggi, fatti ed eventi legati alla nostra comunità, che tale è non perchè convive sul medesimo territorio, ma perchè condivide alcuni valori, alcune tradizioni, alcuni ideali. Possono sembrare parole scontate, retoriche, se si vuole. E forse lo sono, perchè parlando di memoria c’è sempre il rischio di cadere in una facile e melensa retorica, riproponendo luoghi comuni, infarciti, spesso, da smania di campanile. E’ un rischio che comunque bisogna correre, governandolo, però con la freddezza della ragione senza per questo trascurare il calore del cuore.Dalla prefazione di Carlo Rango
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IL PIEGHEVOLE Numero 2
Numero monografico su Dante MaffiaNel pieghevole si pubblicano parole e immagini.
Chi ha qualcosa da dire, lo dica subito.Il pieghevole
Aperiodico di letteratura e arte
A cura di: Alfredo Bruni, Maria Credidio, Salvatore Genovese,
Salvatore La Moglie, Gianni Mazzei, Paolo PellicanoREDAZIONE: C/O Alfredo Bruni,
Via Antioco 6
87011 Sibari
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ilpieghevole@alice.itSupplemento alla rivista La Mongolfiera
Aut. Tribunale di Castrovillari N. 89/89 del 29 – 11 – 1989La collaborazione, che è da intendersi sempre a titolo gratuito, compresa quella dei curatori, è per invito e per accettazione. Il materiale pervenuto, che non verrà restituito, sani attentamente valutato. Ogni autore è responsabile delle proprie opere e delle proprie opinioni.
L’aereo cade a picco nel mare.
L’addio è concluso, ineluttabile.
Poi
altezza, larghezza, rumore
assenza del cuore.Hanno la camicia di forza
uomini e grattacieli.La Mela ha fretta di non so che cosa,
come vivesse dentro lugubri presagi,
nell’essenza d’un nulla
che vuole diventare forma.Io mi rifugio nella vastità
d’un melograno ch’era davanti casa
a Roseto e soleggiava beato.I sussurri sono bendati o distrutti
da troppi urli neutri. La metropolitana
è il preludio d’un inferno che non m’appartiene.Messa nella posizione giusta
la pianta di basilico si fa regina,
misteriosamente si fa sapore.Ma che nascesse anche qui mi disorienta,
significa che in qualche maniera
l’America appartiene alla terra.Da uno spazio indefinito
arrivano rigurgiti e ululati,
imitazioni di tamburi impazziti.Dove hanno imparato le filastrocche
queste strade affollate,
questi fiumi di anonimi assenti?Come dentro un guado di sabbie mobili,
inseguito da cani spelacchiati,
mi dondolo nella baia
che banalmente abbaia.Ancora alberi a convegno
con la mia ansia ormai logora.
Sono gli ontani di Roma a parlare.
I passanti a Little Italy
hanno 1′ aria di casa, povero me!
Entro nel niente illibato
di sillabe sgualcite, di foglie
un po’ folli, di salti mortali
che vanno da Roseto a Nuova York.Non avevo fatto nulla
e mi sentivo in colpa
così, all’improvviso,
come chi ha ucciso
qualcuno e non se ne ricorda
se non a sprazzi
e si dispera.Accaduto per caso,
lei si stava sporgendo
da un parapetto, a me
prudeva il naso, le vidi
le mutandine di seta celeste
e l’orgasmo fu perentorio.Un rullare di favole oscene
imperversò nel sangue.
La Mela fu quella d’Adamo,
fu una puttana eternamente sconcia.Forse lo scrupolo, il senso di colpa
che va e viene e non mi lascia in pace.
Non so cos’è l’America, una farsa,
un barlume, una finta cicala,
una scala verso il nulla, una fanfara…
Io non voglio più starci in questa plaga
di odori di cipolle e di carote,
non voglio diventare lo squalo che galoppa
nel nonsenso, nel dilagare
di metafore corrotte.Per prima cosa ho baciato la terra a Fiumicino
ed è sparita la paura.
Le Timberland per le figlie
tintinnavano nello zaino.
Non hanno trovato da ridire alla dogana.Mi è venuta incontro la voce
di Totonno il pescatore
che gridava impossibili storie di mari,
nel corpo fiocine, alte maree, il soffocamento,
il pesce spada infuriato.Un ricordo che non c’entra niente,
ma mi ha riportato a Roseto,
al mare che non s’adira mai,
e non è mai spaventato.Dante Maffia è nato a Roseto Capo Spulico (Cosenza) il 17 gennaio 1946. Trasferitosi a Roma ha esercitato vari mestieri per sopravvivere e frequentare l’Università. È poeta, narratore, saggista e critico d’arte. Il suo primo libro, Il leone non mangia l’erba, con prefazione di Aldo Palazzeschi, è del 1974. Nel 2008 ha pubblicato con Mursia il romanzo Il poeta e lo spazzino (prefazione di Walter Veltroni).
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LINEA DI KONFINE
È il mondo di un ragazzo di 22 anni, Christian, da cui si parte per dipingere un quadro sull’adolescenza, sui ragazzi del nostro tempo, e imbatterci in quelle che sono le loro incertezze, aspirazioni e speranze. Un mix di serietà, crudeltà, maturità/immaturità e spensieratezza, sentimenti dipinti all’interno di un quadro familiare sempre al varco, scritti tra i banchi di scuola, vissuti in una vita che spesso corre troppo veloce…
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IL CURATO E IL PAGLIACCIO
“Io credo che la normalità sia il male e la follia sia il peggio. Io credo che il diritto di essere diverso sia anche il diritto di essere uguale”.
Queste le parole di Sandro Gindro, psicoanalista di formazione freudiana, compositore e drammaturgo, cui si deve l’autonomo percorso verso Psicoanalisi Contro nonché la fondazione dell’Istituto Psicoanalistico per le Ricerche Sociali.
Dalla drammaturgia emerge un unico personaggio: il curato che si dibatte tra le due sue anime: quella del prete e quella del pagliaccio.
La questione è credere o no nell’esistenza di Dio. Ma una volta ucciso il pagliaccio, l’unico che sapeva ringraziare e per il quale valeva la pena che fosse stato creato il sole, il mare, gli alberi, il solo che sapeva goderne, “che farà Dio ”, si chiede il prete.
Ammettendone così l’esistenza. Come pure la ammette il ragazzo non vedente, che ne canta una dimostrazione, ispirata alla prova ontologica di Sant’Anselmo da Aosta. -
LA MATASSA E LA ROSA
Il nazismo fece scempio di tanti Uomini e Donne di Fede, ma non riuscì ad oscurare, a distruggere i loro alti valori religiosi e morali. Ciò che è più interessante, non è certo stabilire la superiorità di una dottrina rispetto ad un’altra, bensì poter riflettere e partecipare ad uno scontro dialettico e costruttivo su percorsi diversi per raggiungere la Luce, ma opposti alla logica del buio, del potere, della violenza e della morte che sono state proprie del nazismo.
Lo spettacolo è un oratorio dedicato alla vita, alla fede, al martirio di Edith Stein: ebrea di nascita, convertita al cattolicesimo, allieva e poi assistente di Husserl, carmelitana, fu deportata ed entrò nella camera a gas del lager di Auschwitz nel 1942. Prima di esservi tradotta, Edith Stein fu ospite per pochi giorni nel campo di smistamento di Westerbork, in Olanda. Nello stesso periodo, per circa un anno, vi fu costretta anche Etty Hillesum, giovane scrittrice ebrea. Pare che le due si siano veramente incontrate nell’agosto del 1942 (pochi giorni prima della deportazione ed uccisione di Edith Stein) ma cosa si siano dette nessuno lo sa.
Ecco, proviamo ad immaginare di essere per un’ora in prigionia con loro e di poterle ascoltare mentre parlano sottovoce.
Testimonianza della loro luminosa esistenza, che durante il tenebroso evento del nazifascismo, ha liberato lo spirito che in loro gemeva e cantato un canto nuovo alla fede, alla vita, a dio. -
Cvijeta Zuzorić (quasi una fantasia)
Nel dramma di Matko Srsen il vuoto, l’atto della lettura impossibile di qualcosa scritto da Cvijeta, incontra l’ipotesi di una scrittura possibile di Cvijeta, indicatori che favoriscono l’attivazione della reazione libro/lettore diventando indispensabili per l’incontra. E l’incontro fra Mara e Cviieta, nell’opera di Srsen, avviene nell’altro mondo, in una sala che rieccheggia di vuoto della villa Gozze di Trsteno. Il vuoto di Srsen è contrapposto ai dialoghi di Gozze in cui le due amiche filosofavano presso un ruscelletto, tra profumi della natura che facevano da cornice naturale a ‘due fiori’ del gentil sesso. Nella visio drammaturgica di Srsen le due amiche non sono più creature ospitate da un giardino che partecipano al fluire misterioso della vita, bensì due entità puramente spirituali, svuotate dal loro essere fisico, che dialogano su quanto nella loro vita reale, e nella storia in cui si inscrivono le loro biografie, è rimasto sottaciuto, colmabile unicamente con l’immaginazione artistica.
Come un’avversaria furiosa, giunta alla resa dei conti all’inferno, Mara conduce Cvijeta a dialogare sul non detto, rivela a Cvijeta l’enigma del suoi scritti ragusei e del manoscritto Orfeo, un dramma che essa brucia nella vita ultraterrena come avrebbe fatto in quella terrena, avvelena sé e l’amica con la cena, e loro muoiono intonando un madrigale e tenendosi per mano, per rimanere immortalate nel loro amore per un’altra volta ancora. Così anche la morte fisica trova il suo doppio, nella morte metafisica, in uno stesso spazio che è quello dell’Incontro nel Canto in cui si fondono la natura e l’anima delle due donne-entità.Suzana Glavas
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MARLENE
Nel nome della protagonista – Maria Magdalena – é già segnato il percorso umano e artistico che per decenni e fino ai nostri giorni, ha sollecitato l’immaginario collettivo, consegnando al mondo l’icona di una bellezza prima ferocemente costruita e poi tenacemente mantenuta fino all’inevitabile declino.
Di questa discesa il testo di Manfridi é testimonianza. Marlene é una “via crucis” dolorosa, che parallelamente all’alimentarsi del mito fa sprofondare la protagonista nelle pieghe più “umanamente degradate”: i rapporti con gi uomini, gli innumerevoli amanti, un marito che rimane sempre sullo sfondo, una figlia che si occupa di lei fino alla fine ma con cui ha un legame difficile.
Sullo sfondo si muove la Storia che cambierà l’ordine naturale delle cose: Marlene l’attraversa cercando comunque di proteggere il suo mito, essendo la prima icona moderna consegnata alla nostra inesauribile e insaziabile voglia di eterna bellezza attraverso le luci e le ombre create dal suo “mefistofelico” amante e mentore Joseph Von Sternberg.
Marlene come una riflessione sulla necessità di creare “miti” ma anche, soprattutto, la storia di una donna fragile/indistruttibie, sezionata nei suoi affetti, nei suoi rapporti, che impietosamente si mostra nella sua temibile alterità fino alla consegna finale attraverso uno struggente e infinito piano sequenza diretto dal suo maestro di sempre.
Un testo, questo di Manfridi, nella grande tradizione nordica che comincia con August Strindberg canta fino a Ingmar Bergmar.
Le canzoni saranno il filo rosso di questo spettacolo, per ricomporre pienamente il quadro di un’epoca fortemente dolorosa, segnata dalla guerra da cui disperatamente si cercava una via di uscita.
La scena è uno spazio mentale della memoria dove la protagonista ritrova le figure più importanti della sua vita in una “danza di morte” di strindberghiana memoria.Maurizio Panici
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FILOSOFIA E RIVOLUZIONE IN GIORDANO BRUNO
A ragione Bruno può essere definito il grande filosofo martire non solo della nostra Rinascenza ma anche di quella europea.
Quando Giovanni Gentile si ricollegava, senza alcuna ombra di dubbio, a Bertrando Spaventa e alla sua valorizzazione del Rinascimento, sia nei confronti della scolastica che nei confronti della filosofia Europea del ‘600, lo faceva per sottolineare il ruolo del pensiero bruniano nel Rinascimento italiano e della centralità di questo nel panorama culturale dell’Europa di quel tempo.
Ma in tal senso è corretto rilevare come Gentile, proprio su questi argomenti, ebbe un lungo confronto con un altro grande studioso di questioni bruniane, Felice Tocco; Giovanni Gentile lavorò a lungo tra il 1907- 1908 proprio sui Dialoghi Bruniani, circostanziandoli fra l’altro di notizie a proposito della vita del Nolano.
E sarà proprio con il Tocco e con Rodolfo Mondolfo che il Gentile discuterà a lungo a proposito dell’arduo problema dell’unità del pensiero bruniano, dei suoi molteplici intrecci dei temi e degli sviluppi, nonché della varietà delle fonti, classiche, medioevali e contemporanee, manifestando così una profonda insoddisfazione rispetto ad alcune tesi a volte estrinseche e ingiustificate.
Gentile mostrò, d unque, di aver ben compreso la lezione ‘filologica’ proposta dal Tocco, una lezione, la sua, volta a proiettare la filosofia del Rinascimento fuori dalle formule astratte in cui rischiava, a volte, di cadere la tradizione risorgimentale spaventiana.
Infatti, stando a questa tradizione vi è un privilegiare di Bruno “martire” della liberazione del pensiero umano, ma non molto di più, in realtà lo sforzo della storiografia post- risorgimentale è stato quello di una comprensione più profonda delle radici delle filosofie naturalistiche di Bruno e di Campanella. Il platonismo Rinascimentale, figlio dell’Umanesimo, e di cui Bruno è un grande interprete, dice il Gentile, ha permesso la produzione delle grandi sintesi di Spinosa e di Leibniz, un platonismo che ha avuto il compito di far voltare le spalle al medioevo, dando luogo ad un nuovo orizzonte, ad un orizzonte decisamente più ampio, ad un orizzonte dove si è passati dalla divinità della natura alla intrinseca divinità dell’uomo, inculcando perciò in costui il “sentimento” della sua potenza, dell’infinito che è in grado di raccogliere nel ‘petto’ dell’uomo, l’identità sostanziale della sua anima con l’anima e con la vita del tutto.
Il pensiero bruniano però va oltre questa consolidata interpretazione e collocazione, in Bruno, infatti, c’è ben altro, c’è la critica al pensiero scolastico medioevale ed anche al pensiero del seicento europeo, pensiero tutto teso a stabilire i grandi blocchi concettuali funzionali alla società borghese.
La rottura, dunque, nella proposta filosofica bruniana, del tempo cronologico, una dilatazione temporale, Jetz, in nome di una “nuova concezione” teoretica – politica di liberazione che lo collega alla grande proposta della”libertà comunista
Per questo il titolo del presente lavoro,”Filosofia e rivoluzione in Giordano Bruno. Religione, Etica e Materialismo”, ed anche in questo l’esame di alcuni nodi fondamentali della rivoluzionaria proposta filosofica del Nolano. -
TARZAN – CINEMA E CIOCCOLATO
Chi non conosce la bontà e la meritata fama del cioccolato, che fin da subito volle anche legare, per il lungimirante intuito dei produttori di cioccolato (come ha rivelato Matilde Tortora anni fa con il suo libro Cinema Fondente), il consumo e la pubblicizzazione dei propri golosi e appetibili prodotti a film di successo fin dai primi anni del cinema, instaurando, in tal modo, un primato di liaison con il cinema?
Le immagini dei film personalizzate con il “logo” dell’industria di cioccolato, vennero da diverse aziende abbinate ai propri prodotti in maniera seriale, inducendo gli spettatori a ricercare altre immagini dello stesso film per comporne la serie e quindi ad acquistare altri loro prodotti. Celeberrime le serie fine anni Venti della Perugina, della Zaini riportate nel libro Consumare Passioni. Cinema e Cioccolato di Matilde Tortora, il secondo libro della Trilogia su Cinema e Cioccolato, che questo volume su Tarzan oggi conclude. Sono in questo libro riportati gli album di figurine fatti stampare negli anni Quaranta dalla COOP S. G. C. Micheroux, industria di cioccolato belga, per autorizzazione speciale della MGM, casa di produzione dei film ,con immagini dai film della serie Tarzan, il personaggio creato da Edgar Rice Burroughs nel 1912, interpretati da Johnny Weissmuller. Queste immagini di film e cioccolato hanno una loro indiscutibile attrattiva che questo libro consegna alla fruizione di molti, ancora oggi, testimonianza ulteriore del grande fascino del cinema, del grande fascino del cioccolato! Basti pensare che la colorazione di queste figurine furono a cura della stessa casa di produzione dei film, la potente MGM, tanto è vero che a ridosso si legge a chiare lettere “Colour Adaptations of the MGM Tarzan Films” ed effettivamente il loro fascino dura tuttora , come ancora oggi dura il fascino di Tarzan, che è stato antesignano di un enorme successo mediatico fin da subito e che dura tuttora, anche per le implicazioni di esotismo, ritorno alla natura, insofferenza alle costrizioni della vita metropolitana. -
UOMO MANGIA UOMO
Man Eats Man“I racconti di Matteo Scarfò hanno origine da un dolore che forse la sua generazione non percepisce come tale e riconosce come normale progressione del vivere”.
Andrea Frezza
“La paura ci rende prevedibili, controllabili, conformi, e giustamente finiamo per temere il serial killer, il “non conforme che ci uccide”, “il pazzo non conforme e imprevedibile che uccide esseri conformi e prevedibili”.
Eros Puglielli
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FRAMMENTI QUOTIDIANI
Dietro le parole contenute in questo volume batte il cuore di un poeta, di un poeta semplice che, guarda alla realtà che lo circonda con l’ingenuità di chi ha saputo conservare intatti i valori della vita, dell’amore, del lavoro, dell’amicizia, della comunità, della storia. In ogni suo verso, modulato da una musicalità di toni e registri semplice e coinvolgente. Carmine Concistrè penetra nei risvolti più riposti della vita e del mondo e ne trae sempre goccia di linfa benefica e rigeneratrice. Tradizione e modernità, memoria e futuro, realtà e immaginazione si fondono in lui, si combinano per dare luogo ad un messaggio che è ricco di speranza e di fiduciosa attesa…
Prof. Giuseppe Trebisacce
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ORAZIO SI RACCONTA
Parte secondaEccomi alla seconda “fatica” letteraria di Rodolfo Ritacca. Potremmo dire che il sig. Ritacca ci ha provato gusto a raccontare la sua vita e quella degli abitanti del suo paese e dei paesi limitrofi.
Anche questa volta lo ha fatto con tanta passione, con grande entusiasmo e con immenso desiderio di ricordare i tempi passati, vissuti in modo particolare nella sua San Sisto dei Valdesi, a cui egli è rimasto fortemente legato. Il paese che ti ha dato i natali non, si può mai dimenticare.
Nella sua prima opera “Orazio si racconta”, l’autore si è soffermato a ripercorrere i suoi anni verdi, vissuti intensamente nel suo luogo di nascita. L’opera, infatti, è costellata di numerosi ricordi personali, di luoghi a lui sempre cari, di persone, che sono rimaste sempre vive nella sua mente e nel suo cuore, di fatti lieti e tristi, che hanno segnato la sua vita, di usi, di tradizioni e di consuetudini che ora vanno sempre più scomparendo. E lo ha fatto con lucidità di idee, con totale padronanza dei contenuti e con un linguaggio chiaro e scorrevole.
Altrettanto si può dire di questa sua seconda pubblicazione, che l’Autore ha voluto gentilmente sottoporre alla mia attenzione prima di pubblicarla, per avere un giudizio, che è senz’altro positivo ed apprezzabile. Si tratta, lo dico con la massima sincerità e con piena convinzione, di un lavoro dignitoso e meritevole di essere consegnato alla stampa per portarlo a conoscenza dei lettori.
In questa seconda opera l’attenzione dello scrittore si sposta dal personale all’impersonale, dalla propria storia a quella della realtà circostante, di cui egli è stato sempre un attento ed acuto osservatore. Niente gli è mai sfuggito, ma tutto rimane sempre scolpito a caratteri indelebili nella sua mente. Non parla di sé stesso e delle sue vicende personali, ma della realtà in cui egli ha vissuto. Luoghi, fatti, persone sfilano davanti ai suoi occhi, che li osserva attentamente, li giudica serenamente e li presenta a noi per farceli conoscere e nello stesso tempo amare.
Gli anni, presi in esame, sono quelli che vanno dalla Prima Guerra Mondiale sino alla fine della Seconda e a quelli immediatamente successivi. La storia, sicché, fa da sfondo a tutte le vicende vissute e narrate. Anni difficili e caratterizzati da tristi vicende belliche e dal difficile periodo fascista, una delle pagine più tristi della nostra storia di tutti i tempi. La dittatura, la povertà, la miseria, la mancanza di viveri, l’emigrazione sono dall’Autore ricordate con tanta lucidità e con tanta condanna e severo disprezzo. Tempi duri per tutto il Paese e, in particolar modo, per il Sud, “Terra di emigranti”, come viene definito dal nostro scrittore corregionale Saverio Strati, scomparso di recente.
Si partiva per le lontane Americhe, per il Nord d’Italia e per i Paesi di là dalle Alpi. Oltre 300 persone, dice l’Autore, partirono dal piccolo San Sisto dei Valdesi per il Canada, da dove non tornarono più.
Non píù racconto autobiografico, ma vita di un intero paese: occupazioni, mestieri, lavori, dolci serenate alla propria “bella” con chitarre, con mandolini e con violini.
Grande attenzione egli pone nella descrizione dei lavori dei campi: la transumanza, la produzione del latte, la raccolta delle olive, la produzione dell’olio, la raccolta dell’uva, la produzione del vino, di cui tutti erano buoni amici. Mestieri e personaggi del paese sono ricordati con dovizia di particolari e con curiosi aneddoti. Le feste locali (Natale, Capodanno, Carnevale ecc.) vedono la partecipazione di tutto il paese. Giovani e vecchi scendono per le strade principali e il Leopardi direbbe “mirano e sono ammirati”. Una “gran festa” era anche l’uccisione del maiale, che era quasi un rito sacro e a cui prendevano parte parenti e amici, che poi mangiavano “u suffrittu” e bevevano a più non posso. Un libro, dunque, quello di Ritacca, che ci fa compiere un tuffo nel passato e ci fa confrontare la realtà di ieri con quella d’oggi, molto diversa. Un libro che ha l’obiettivo di ricordare per non dimenticare. Il tutto c’è presentato in uno stile semplice, confidenziale e abbastanza lineare. Un libro che fa nascere nel lettore il desiderio di andare avanti, per scoprire e conoscere un mondo, semplice e naturale, che il tempo, purtroppo, va cancellando sempre più. Complimenti sinceri, sig. Ritacca, e ad maiora semper…Prof. Carmine Concistrè
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IL PIEGHEVOLE Numero 1
Numero monografico su Alda MeriniNel pieghevole si pubblicano parole e immagini.
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Perché questa odiosa bellezza occupa la mia mente
e non imbandisce un desco?
O tu non verrai a vedermi
perché invisibile il mare dell’amore
eppure io mi d’isimpegno per te.
Non vedi che sono morta?
Non vedi che non ho più un fiore nei capelli?
Che giro ignuda per casa?
e invoco la morte
che ha soltanto una falce femminile.
Ero un grano,
e la mia vita andava falciata dalle tue labbra.
Ho maledetto te
che hai spento tutte le lampadine
del mio teatro
la mia recitazione è finita.
Non troverai neanche il mio cadavere
perché tutti gli Angeli portarono in cielo
i poveri morti d’amore.Il tuo bacio atteso per mille anni:
mi hanno rubato tutto il bucato
l’avevo steso al sole per richiamare
i tuoi sguardi,
la corda che aspettava i tuoi baci
era la migliore
con quella corda ha strangolato
tutti
I miei panni al sole
erano la vela di Isotta
ma tu eri morto,
morto e non lo sapevi.A TUTTE LE DONNE
Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso
sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
malgrado le tue sante guerre
per l’emancipazione.
Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d’amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora cosa dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
e innalzi il tuo canto d’amore.Alda Merini (Milano 21 marzo 1931) esordisce a soli 15 anni, scoperta da Giacinto Spagnoletti. È considerata una delle più grandi poetesse contemporanee. Compì gli studi superiori all’Istituto Professionale Laura Solera Mantegazza, non avendo potuto frequentare il liceo Manzoni, in quanto respinta in italiano. Note le vicende della sua vita, durante la quale non ha mai tradito la sua vocazione e ha conosciuto le maggiori personalità della cultura.
Giuliano Grittini è nato a Milano nel 1951. Artista e fotografo, ha preso parte a numerose mostre d’arte nazionali e internazionali. Sue foto sono state pubblicate dalle maggiori testate e dalle più importanti case editrici italiane. Da oltre due decenni è legato da un forte legame di amicizia con Alda Merini, che ha fotografato più volte, riuscendo a cogliere l’essenza più profonda della poetessa milanese.
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In questo numero de il pieghevole presentiamo tre poesie di Alda Merini e due foto di Giuliano Grittini, che ringraziamo per averci permesso la pubblicazione. Le poesie sono tratte dal volume L’arte è una bellissima donna (© Giuliano Grittini – giugno 2008). La nota critica è stata curata dalla scrittrice e giornalista Monica Maggi, che insegna all’Università Roma Tre giornalismo e scrittura. -
IL PIEGHEVOLE Numero 0
Nr. monografico su R.M. de’ AngelisNel pieghevole si pubblicano parole e immagini.
Chi ha qualcosa da dire, lo dica subito.Il pieghevole
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Aut. Tribunale di Castrovillari N. 89/89 del 29 – 11 – 1989La collaborazione, che è da intendersi sempre a titolo gratuito, compresa quella dei curatori, è per invito e per accettazione. Il materiale pervenuto, che non verrà restituito, sani attentamente valutato. Ogni autore è responsabile delle proprie opere e delle proprie opinioni.
PAESE DI MIA MADRE
Voglio tornare al paese di mia madre,
dove mia madre riposa sotterra,
accanto agli ulivi sempreverdi
e alle spighe che cambiano colore.
Mia madre era di un altro paese,
ma, sposa, venne al nostro e ci restò:
come edera intorno al tronco di mio padre,
amorosa padrona del forte albero,
quante volte fiorì, tante rispose
alla voce del sangue: undici figli,
e io tra loro, invasero la casa;
si dispersero poi senza saluto.
Non è bello il paese di mia madre,
non ha statue, non penti, non emblemi,
è un povero paese di colline
sull’argilla malarica: le capre
vi stanno a guardia, e di guardia è la luna
lucida falce stanca di tagliare.
Se ci arrivo, non trovo che il ricordo
di lei come un’essenza in una fiala
e ciò mi basta per tornare a vivere:
un odore di timo e spiganardo
una ciocca di teneri capelli,
e quel suo passo lesto, e quel suo sguardo
sempre più dolce sempre più remoto.Raoul Maria de’ Angelis
Raoul Maria de’ Angelis (Terranova da Sibari 1900, Roma 1990) è tra i più rappresentativi scrittori calabresi. Il suo romanzo “La peste a Urana”, pubblicato da Mondadori nel 1943, fu al centro di una famosa querelle col premio Nobel Albert Camus, che nel 1947 pubblica “La peste”, dove si ravvisano molti punti di contatto col libro del de’ Angelis.
Per onorare il centenario della nascita di Raoul Maria de’ Angelis, lo scrittore Gianni Mazzei, in questo testo ripercorre, con un po’ di ironia, tutta la vicenda, dimostrando che la tesi del plagio da parte di Camus, non è affatto infondata.
I curatori de “Il Pieghevole”, che con questo numero inizia il suo cammino, ringraziano il dottore Ernesto de’ Angelis, che ha reso possibile la pubblicazione della poesia “Il paese di mia madre”. -
IL GRANDE GIOCO
Pubblicato nel 1925 sull’almanacco Literaturnaja Mysl’, n. 3, e l’anno successivo in volume insieme a Fine di una banda (Konec chazy), con cui ha in comune il motivo dei bassifondi e Dell’avventura, il romanzo Il grande gioco (Bol’šaja igra) racconta con eleganza una storia di spionaggio. Palese è il rimando al romanzo Kim di Kipling, da cui Kaverin deriva il titolo (il Grande Gioco è, nel servizio segreto, la strategia delle trame spionistiche) e la motivazione prima. Il grande gioco è però anche il gioco d’azzardo che vede i due protagonisti incontrarsi nell’ultimo capitolo al tavolo verde di una bisca per una sfida decisiva che vedrà il predominio dell’uno e la rovina finale dell’altro.
La genesi di questo breve romanzo è complessa: la prima stesura risale all’estate del 1923 e reca il titolo Šuler Dieu (Il baro Dieu), dove Dieu è un cognome ed è scritto in caratteri latini.
Partendo da un’ambientazione esotica, l’Etiopia, e da un documento realmente esistito, la storia è imperniata sul contrasto fra l’agente inglese StephenWood, che si crede Dio, e il flemmatico professor Panaev, l’agente russo. Lo spunto da cui muove lo scrittore è reale come lo sono anche personaggi, riferimenti storici e eventi legati alla successione dell’imperatoreMenelik e alla Storia della penetrazione russa in Etiopia.
Su questo sfondo storicamente valido, Kaverin inserisce la sua finzione artistica che si apre con la presentazione di uno dei due protagonisti, il professor Panaev.
Rilevante è l’uso che Kaverin fa nel romanzo del motivo del gioco. Da una parte c’è il gioco continuo dell’autore con la trama e con i suoi personaggi, dall’altra il Gran Gioco, inteso sia come gioco
spionistico che come gioco d’azzardo, nella fattispecie chemin de fer e štoss,- una variante del faraone,- a cui si sfidano Panaev e Wood. La tradizione romantica del gioco di carte come «gioco con
la morte» nella poetica dell’avanguardia russa assume un carattere parodico da humor nero, particolarmente forte in Igra v adu (Gioco all’inferno) di Chručenych e Chlebnikov.
Il grande gioco è strutturato in modo tale che l’azione si svolga a incastro per arrivare alla logica dello scioglimento. Il duello fra i due protagonisti avviene su due piani: da una parte per il possesso
del proclama del negus, dall’altra per il predominio al tavolo da gioco. Chi perde al “Gran Gioco”, soccombe, e, per quanto sia paradossale in una storia con due antieroi,- uno rappresenta il bene e l’altro il male. -
GLI SCIOPERI DEL 1943-1944 A BUSTO ARSIZIO
Può sembrare riduttivo qualificare questa breve opera semplicemente come la storia di una delle tante città lombarde coinvolte nella lotta al fascismo attraverso figure esemplari e movimenti di massa legati alle grandi fabbriche, in realtà si vuole rievocare a livello locale quelli che sono stati i tratti salienti di quel periodo che va dall’8 Settembre del 1943 al 25 Aprile del 1945.
Il tentativo, in questo studio, è rivolto a ripercorrere e a valorizzare il ruolo svolto dalla classe operaia durante gli ultimi due terribili anni della seconda guerra mondiale.
I lavoratori iniziarono la loro presenza nello scenario politico nazionale a partire dal marzo del 1943, agitazioni, scioperi e sabotaggi all’interno e fuori delle fabbriche.
Il prezzo pagato dalla classe operaia fu altissimo: persecuzioni, deportazioni ed uccisioni furono la risposta dell’occupante nazista e del suo alleato repubblichino.
Mario Agostinelli
Consigliere della Regione Lombardia -
BOCCHECIAMPE
Condivido i ragionamenti di Sharo Gambino sul “caso” Boccheciampe. Mazzini e molti altri lo hanno indicato come un infame traditore e come il responsabile della sconfitta della spedizione dei fratelli Bandiera. ma non è vera né l’una né l’altra accusa. Boccheciampe non era una spia austriaca o borbonica, ma un giovane di belle speranze che, come confessa nel radiodramma scritto da Sharo, «preso dalla paura, anzi, addirittura dal panico di chiudere dinanzi ad un plotone di esecuzione i miei trent’anni e non per qualcosa che ne valesse la pena (…) non possedendo la forza di fare l’eroe ad ogni costo, pensai di salvarmi facendo qualche rivelazione».
Boccheciampe, spaventato di essere fucilato ha parlato, ma anche la maggior parte dei suoi compagni durante il processo ha cercato di salvarsi la vita.
… La spedizione dei Fratelli Bandiera non è certo fallita per la delazione di Boccheciampe. Come scrive Sharo Cambino, anche senza di lui sarebbe fallita, poiché “era partita fallita”. Il Borbone ne aveva avuto notizia fin dalle prime mosse, attraverso alcune lettere dei patrioti intercettate dallo spionaggio inglese e nella stessa Corfù le mosse degli Esperidi erano di dominio pubblico. La spedizione fu un disastro anche sul piano militare, caratterizzata da ingenuità, superficialità e avventurismo…Giovanni Sole
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LA NORMALIZZAZIONE DELLA CHIESA LATINA SU QUELLA DI RITO GRECO IN TERRA D’OTRANTO FRA IL XVI ED IL XVII SECOLO
Nell’accingermi alla stesura di questo saggio, mi piace rammentare una frase di Plinio il Giovane: “Mi sono sforzato d’interessare le diverse categorie di lettori, usando parecchi modi d’esporre, e se posso temere che taluni non approvino questa o quella parte a seconda del loro temperamento, posso d’altro lato sperare che tale varietà renderà piacevole il tutto a tutti”.
In altre parole, chi scrive un libro sa bene che la sua fatica andrà nelle mani di lettori appartenenti a diversi orizzonti culturali e diverse tipologie metodologiche.
Ed è anche per questo che ho voluto esaminare l’azione normalizzatrice della Chiesa Latina su quella di rito greco nella Terra d’Otranto “guardandola” sotto diverse prospettive.
La trattazione storica è paragonabile ad un percorso lungo il quale osserveremo lo svolgersi degli avvenimenti. Ma, il solo guardare non ci metterà nelle condizioni di comprendere le situazioni, come accade a chi viaggia in treno ed osserva esteriormente il paesaggio che gli scorre veloce sotto gli occhi.
Ecco allora che noi, questo treno, lo faremo rallentare. E faremo ciò esaminando la vicenda anche nei suoi aspetti socio – culturali e religiosi. Tuttavia per arrivare a formarci un’idea approfondita sugli avvenimenti, bisognerà fermarsi e scendere dal convoglio delle nostre certezze e verificare de visu quanto affermato tramite l’applicazione pratica “sul campo” di alcune teorie sociologiche. -
DA TE A ME
Un libro come un vecchio disco in vinile, non importa a quanti giri, settantotto, trentatré, sedici o quarantacinque. Un libro da leggere e da ascoltare.
Apologia ed elegia di Firenze, del Teatro, mio padre. Accorato appello a non dimenticarsi mai delle proprie radici.
Come un disco due lati, A e B. Il primo tratta della parte vissuta dal protagonista a Firenze, il secondo dell’adolescenza vissuta in periferia prendendo coscienza delle ambizioni.
Una toscanità popolare, tagliente, a volte sboccata ma non trita. I nomi, gli attributi, i soprannomi affibbiati ai personaggi tutti rigorosamente con l’iniziale maiuscola, qui da noi la tradizione insegna che una caratteristica fisica o caratteriale valida ufficialmente un nome quanto il codice fiscale un documento.
La fiorentinità che ho visto, sentito, vissuto, letto, leggo e che purtroppo vivo sempre di meno.
L’amore per una città poco ricambiato. Dimentica di me e della mia dinastia, stregato mi offro senza condizioni, non cercando e chiedendo nulla. Anzi, violento la innalzo più alta, irraggiungibile per mia stessa volontà, che non arrivi nessuno se non arrivo io.
Gli episodi e gli ambienti che figurano in questo romanzo sono veri o verosimili. Alcuni personaggi hanno profili di pura fantasia. -
80 VOGLIA DI MORANO
Questo primo numero di Renato Pagliaro è particolarmente adatto alla costituzione di una collana editoriale, dove la pubblicazione della fotografia si accompagna alla letteratura, alla poesia, all’arte, alla musica, alla storia, alla memoria, oppure sottintende uno studio di rapporti sociali e di tradizioni popolari.
Si tratta, dunque, pur nella veste editoriale agile e piacevole della raccolta di tavole a colori, di un’opera complessa che vuole stimolare gli enti pubblici, le aziende private e gli amanti della fotografia, a eventuali collaborazioni, con il fine di riscoprire i tesori della Calabria.
Importante, indispensabile e di spessore storico-culturale l’intervento del prof: Biagio Giuseppe Faillace, studioso e autore di numerose pubblicazioni che approfondiscono gli aspetti etno-linguistico-antropologici dell’area calabro-lucana del Pollino.