Giuseppe Manfridi, romano, è drammaturgo e sceneggiatore.
Da oltre ventanni il SUO teatro è costantemente rappresentato in Italia e all’estero.
Fra le sue commedie di maggior successo: “Giacomo, il prepotente”, “Ti amo. Maria”, “Elettra”, “La cena”, “La partitella”, e “Teppisti”; questi ultimi due sono testi di grande impatto emotivo che, seppure in maniera diversa, affrontano il mondo del calcio e dei tifosi. A questo tema Manfridi ha pure dedicato la sceneggiatura di “Ultrà”, che, con la regia di RidcyTognazzi, ha vinto l’Orso d’oro al festival di Berlino nel 1990.
Numerosi i testi di Manfridi che sono andati in scena in Francia, a New York, in Finlandia, in Grecia, in Canada e in Sudamerica. “Giacomo, il prepotente”, nel novembre del ’98, ha debuttato al Theatre des Champs-Elisées” di Parigi, mentre “Zozòs”, nel 2000, è stato allestito al “Gate Theatre” di Londra con la regia di Peter Hall, e ripreso al Barbican nel 2003. In un consenso unanime della stampa, il critico del Sunday Times ha definito la commedia “la più divertente che abbia mai visto”. Gran parte del suo teatro è pubblicata data casa editrice Ricordi, dalla Marsilio e da Gremese (di cui Manfridi dirige la collana Teatro). La Entertaiment & Art ha iniziato una pubblicazione delle sue opere complete, di cui è uscito nel 2005 il primo volume.
Suoi testi sono stati pubblicati anche in Francia, in Inghilterra, in Croazia, in Grecia, in Spagna e In Bulgaria.
Nel 2006 l’editore Gremese ha mandato alle stampe il romanzo “Cronache dal paesaggio”, debutto di Manfridi nella narrativa. Successivamente viene pubblicato il secondo romanzo “La cuspide di ghiaccio”, e “ll quadernetto sulla gaffe”. Intensa l’attività propedeutica, con corsi tenuti presso Università (in Italia e all’estero) e Teatri stabili.
Numerose sono le tesi di laurea dedicate alla sua produzione drammaturgica.
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GIACOMO, IL PREPOTENTE – con scritti di Claudio Giovanardi e di Elisabetta Pozzi
ABSTRACT : Testo storico di Giuseppe Manfridi, il debutto è avvenuto nel febbraio del 1989 al Teatro Duse di Genova. Lo spettacolo è stato prodotto dal Teatro di Genova diretto da Ivo Chiesa. Le repliche hanno proseguito per tre stagioni arrivando al Teatro Argentina di Roma la seconda, e al Piccolo di Milano la terza. Il personaggio di questa commedia è proprio lui, Giacomo Leopardi, che i fratelli chiamavano “il prepotente”, per via di certe sue impuntate perfettamente descritte nel testo.
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LA PARTICINA
Il vero protagonista di Romeo e Giulietta“Ho scritto la prima versione di questo testo quando avevo 22 anni per una serie radiofonica RAI da me ideata intitolata II Veneto di Shakespeare. Ogni puntata (13 in tutto) corrispondeva a un incontro con un personaggio tratto da uno dei vari titoli shakespeariani (ben cinque) ambientati tra Venezia, Padova e Verona.
Da questa compilazione di radiodrammi 6 poi nato lo spettacolo Shakespearefamily, portato in scena agli inizi degli anni 2000 nel teatro Stanze segrete di Roma come una sorta di serial drammaturgico diluito in più serate, per la regia di Claudio Boccaccini. Tra i tanti personaggi noti chiamati in causa (da Otello a Shylock, da Giulietta a Desdemona) ne spiccava uno assai marginale destinato a un’apparizione fugace ma decisiva e la cui conoscenza affido adesso alle pagine che seguono, nonché allo spettacolo che tende a riscattarlo rendendolo per una volta almeno protagonista.”Dalla nota introduttiva dell’Autore
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LA FINALE
Roma-Feyenoord 1-0 del 25/5/2022“Leggete questa delizia e venite ad ascoltarla a teatro appena potrete. Lasciatevi cullare da questa leggerezza tifosa, da parole che non esauriscono mai i loro effetti con la semplice declamazione delle sillabe che le compongono, ma che pungolano in continuazione ogni aspetto della nostra anima tifosa. Insomma, se c’era un cantore degno della Roma di Mourinho non poteva che essere Giuseppe. Erano due fiumi destinati ad incontrarsi, ‘come realtà distinte che diventano una sola entità’. Si apra il sipario.”
Dalla prefazione di Daniele Lo Monaco
“Manfridi, che si attesta ormai nel novero dei grandi poeti che hanno raccontato il calcio (come Saba, Pasolini, Soriano, Galeano), con questo La finale ci regala un altro gioiello della sua produzione, un testo che ci diverte e appassiona rivelandoci anche il suo particolarissimo modo di essere romanista.”
Dalla postfazione di Claudio Boccaccini
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QUATTRO ATTI UNICI
Ultrà
La cappa bianca
Da una stanza all’altra
Nel vuoto“(…) Per questo ho deciso di portare in scena, alla fine di questa complessa stagione, nel mio Teatro d’essai Stanze Segrete, di nuovo Nel Vuoto, perché forse la prossima stagione chiuderò quest’altra mia folle attività che dal ’98 mi riempie di gioia e di fatica e quel testo è nato per significare la meraviglia e il mistero della vita, anche nel momento in cui la vita nel suo momento più altro, sublime… improvvisamente scompare. Ma lo farà lasciando testimonianza dell’assoluto al quale tutti tendiamo anche nelle nostre piccinerie e fragilità. Nel vuoto finisce come un fuoco d’artificio: una volta terminato li proprio compito di stupirci ed eccitarci, lungi dall’avvilirci, ci dà appuntamento al prossimo, esaltante momento in cui saremo felici di essere qui, in questo mondo imperfettamente perfetto, dolorosamente meraviglioso; limitato e immenso.”
Dalla prefazione di Ennio Coltorti
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IL PREMIER
Il protagonista della pièce, “ex Primo Ministro della Repubblica Italiana”, estrae una pistola dalla tasca. L’infila in bocca. Passano lunghissimi secondi, agghiaccianti. La ritrae, lentamente. Dagli altari del passato remoto alla polvere del passato prossimo dei processi e delle umiliazioni, questa la traiettoria di quel noto politico italiano, arrivato al massimo del potere in un paese “democratico”. Fino al presente di una calma apparente e falsa che prelude alla fine (politica o anche della vita) oppure, viceversa, alla risalita, quella stessa della pistola estratta dalla bocca senza averne tratto la soluzione finale. Molti punti interrogativi sulla questione dovranno sciogliersi quella notte. Unita di tempo, di luogo e di azione in una scenografia che ricorda il litorale tra Ostia e Torvaianica, con i tipici pontili in legno, ma che potrebbe essere anche una spiaggia di un qualsiasi altro luogo in Italia, dimensione ambientale misteriosa e riservata come sempre quando il buio scende in inverno sul manto freddo del mare. Sospensione, rito di passaggio, abisso straniante di una atmosfera fuori stagione, dove all’interno di una villa, una specie di dorato bunker, tra la sabbia e il «rombo della risacca», arrivano, non attese, ore decisive per la sorte delle persone convocate in quello spazio teatrale. Inizio folgorante di II Premier nel quale Giuseppe Manfridi mostra pienamente le sue doti camaleontiche, e si consolida, tra gli altri suoi esperimenti, poeta del teatro noir che si fonde con quello delle stanze borghesi, della guerriglia delle coppie con risvolti freudiani e comici. L’andamento drammaturgico mantiene un ritmo di azione e di intreccio psicologico serrato.
Dalla prefazione di Fabio Pierangeli
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FILASTROCCHE DELLA NERA LUCE
(cronache dalla Shoah)II volume che avete tra le mani è composto da un intarsio di ragioni. E di complicità. E di firme. (…) Questa importante presenza di testi attorno a un testo non vuole essere una sorta di sostegno celebrativo delle composizioni che danno iI titolo al tutto, ma significa, piuttosto, la presenza di altre voci a cui, con motivazioni diverse, è stato chiesto di condividere un argomento che è talmente dentro il senso della Storia da essersi fatto ormai elemento imprescindibile della condizione umana, e determinante per intendere l’aggrovigliata mescolanza del bene col male di cui si sostanzia Ia nostra specie: la Shoah. Perciò ringrazio Claudio Giovanardi, Suzana Glavaš ed Evelina Meghnagi che hanno voluto farmi il dono di corrispondere alla richiesta, come per una chiamata a raccolta identitaria di cui si avverte una profonda necessità nel corso di tempi globalmente oscuri per un consesso civile esposto a rinnovate barbarie. (…) Oltre la soglia delle parole (…), a dare compiutezza al libro è, poi, la sua seconda parte, ovvero l’album delle tavole create da Manuel de Teffè. Queste immagini mi piace chiamarle Sipari, e in sipari reali vorrei vederle tradotte (…). Sipari, in quanto negazione della luce, e, al contempo, affermazione per contrasto di quella luce che una cortina di smemoratezza vorrebbe obliterare. Sipari, in quanto chiusi sul mistero di una scena che è dimora di drammi cosi intensi da imprimere il loro urlo policromatico e incensurabile sulla stessa materia destinata a celarli.
Dalla nota introduttiva dell’Autore
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LA PIANISTA PERFETTA
La pianista del titolo è CLARA SCHUMANN (1819–1896), pianista di livello internazionale, e moglie di ROBERT SCHUMANN (1810–1856).
” (…) La pianista perfetta è prima di tutto un atto d’amore. In questa Clara c’è il personaggio storicamente delineato come i documenti ci hanno da sempre narrato, la grande artista famosa in tutta Europa per le sua eccellenti qualità; ma c’è anche la donna profondamente innamorata del suo uomo, al quale riconosce una genialità assoluta nella consapevolezza di essere stata la sua unica musa ispiratrice, anche se ciò ha comportato la parziale rinuncia alle proprie potenzialità di compositrice. Nella Clara di Manfridi c’è la grande pianista di fama internazionale dentro la quale vive la madre preoccupata per il futuro dei figli, per la salute del suo sposo, travolto da fortissimi disturbi psichici. Una donna cosciente di vivere di persona un importante capitolo della storia, ma senza poter prescindere dalla vulnerabilità della madre che deve pensare al quotidiano e alle sue urgenze. Per questo parlo di un atto d’amore, perchè a questa Clara l’autore ci invita a voler bene, e per farlo crea una fortissima empatia fra la protagonista e lo spettatore, illuminandola di frammenti di normalità che la spostano dal piedistallo dove la storia l’ha cristallizzata, per avvicinarla a not come donna capace di nutrire sentimenti nobilissimi, ma anche di mostrare le sue paure e fragilità che ce la rendono assai più vicina e più vera.”Dalla prefazione di Antonio Di Pofi
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NASCITA E RESURREZIONE DI CITTANOVA
“Le radici di Cittanova affondano in un secolo di pesti, di guerre, di scoperte scientifiche. Era soltanto un casale, certo, Curtuladi, poi Casalnuovo, ma inizia a costruire il proprio destino. Questa e stata la felice e risolutiva intuizione artistica del testo di Manfridi: narra¬no, le voci, la storia di un paese e le loro stesse vicende, individuali e collettive, diventano la costruzione di una comunità. (…)
Alle pesti del Seicento si sostituiscono nel secolo successivo sommovimenti naturali e politici. II terribile “tremuoto” del 1783 provoca danni immensi, mettendo a dura prova la popolazione che seppe mostrare forza e coesione, specie davanti allo sgomento per la morte della principessa Maria Teresa Grimaldi. La Repubblica partenopea nei pochi mesi di vita, da gennaio a giugno del 1799, vide la borghesia cittadina ergersi a protagonista dell’affermazione dei valori della rivoluzione francese. Innalzare l’albero della libertà e combattere la battaglia contro i sanfedisti nel forte di Vigliena presso Napoli, segnarono, dopo il bando di Grimaldi, l’atto fondativo del paese.
Giuseppe Manfridi con Nascita e Resurrezione di Cittanova ha saputo rendere alta e tesa drammaturgia questi avvenimenti storici, trasformando le gesta eroiche in un grido universale di libertà.”Dalla prefazione di Francesco Adornato
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IL DISCORSO DEL CAPITANO
“Si parte tra i puntini, anzi, tra le puntine, si arriva tra le stelle, lì dove fu calciato quel giorno l’ultimo pallone di Francesco Totti. E in mezzo c’è il discorso del capitano che è una sorta di dichiarazione dei diritti dell’uomo, la proclamazione d’indipendenza del mondo, la magna carta di Roma, la letterina di Natale del figlio più amato, ma scritta a maggio e valida per tutta la vita.
Il romanzo di Manfridi riconosce un posto nella letteratura al discorso di Totti, che quel giorno è stato più Totti che mai, senza aver segnato, senza aver inciso, se non per il fatto di essere in campo in quei minuti finali di una partita che ci ha spaventato e poi fatto esultare e poi ridere e poi piangere come se fosse la summa di tutte le partite del mondo.”Dalla prefazione di Daniele Lo Monaco
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LA PARTITELLA
“Uno sterrato ai piedi di una scarpata su cui passa un cavalcavia. Sul terriccio grumoso, due linee di gesso bianche. Si tratta del corner di un campetto di calcio presso cui, sin dalle prime ore dell’alba, affluiscono vari ragazzi e ragazze che, disertando la scuola, si sono lì dati appuntamento per una partitella di cui gli uni saranno protagonisti e le altre spettatrici. La situazione, solo marginalmente legata all’evento calcistico, è tale da consentire un intreccio di racconti. Piccoli grandi amori… ansie di crescita… sogni di trionfi futuri… progetti matrimoniali… e quant’altro ancora può immaginarsi come alimento fantastico di quell’ineffabile età di passaggio che è possibile individuare nel valico tra l’ultimo anno di scuola e il primo di università, o di lavoro.
L’età delle prime occasioni, delle grandi attese, del futuro che incombe”Dall’introduzione dell’Autore
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ZOZÒS
(…) Il fatto è che in Zozòs l’azione è totalmente delegata alla parola, e in questo sta il valore strutturalmente drammaturgico della lingua di Manfridi. Si tratta, qui, di un processo agito a livello psicoanalitico, in cui la rivelazione che Edipo è l’assassino di Laio, ma anche figlio dell’assassinato e di Giocasta, è – per dirla con Freud, che nell’Interpretazione dei sogni definisce l’Edipo Re come il paradigma del fenomeno psicologico – “gradualmente e ad arte approfondita e ritardata”. Una rivelazione in cui il riconoscimento è riconoscimento di sé, e, allo stesso tempo, è una realtà in cui il destino dell’auto-agnizione si compie ripercorrendo in modo sempre più consapevole quegli stessi gradini inconsapevolmente discesi verso l’abisso oscuro del proprio essere. Un thriller verbale e psicoanalitico, insomma, in cui l’indagine poliziesca della concatenazione di eventi conduce al disvelamento della insopportabile verità attraverso successive e inesorabili deduzioni, con un meccanismo a orologeria puntualissimo in cui ogni singola parola gioca il suo insostituibile ruolo.
Dalla postfazione di Claudio Boccaccini -
LA FAMIGLIA REMBRANDT SCONFITTA DAI TULIPANI
Dopo un inizio di carriera folgorante, Rembrandt conobbe un tristissimo declino economico e una serie di lutti personali che lo costrinsero ad abbandonare la splendida casa dove abitava nel quartiere ebraico di Amsterdam e a tentare di ricostruirsi una nuova famiglia con Hendrjeke, la sua nuova compagna.
La crisi finanziaria di Rembrandt è da addebitarsi alla perdita delle commissioni che lo avevano visto protagonista assoluto della ritrattistica olandese, all’eccesso di acquisti destinati ad arricchire una pregevole collezione privata, e ad alcuni investimenti sbagliati fatti nel mercato dei tulipani; né più né meno come potrebbe avvenire oggi a chi investisse in borsa puntando tutto su un titolo che, dopo crescite repentine, dovesse poi rivelarsi fallimentare. Ed è qui il nodo della nostra storia: in una vicenda a tre che vede protagonisti, oltre al Maestro e a Enrike, Pitius, una sorta di agente finanziario ante litteram a cui Rembrandt si era affidato mani e piedi per ridare un po di ossigeno alle proprie finanze già tanto smagrite. Sullo sfondo del primo grande crollo economico conosciuto dall’umanità è così raccontata la notte cruciale in cui, tra tenerezze coniugali e comici tentativi di capire quel che sta accadendo, si consuma il dramma di due piccoli risparmiatori dal profilo attualissimo, uno dei quali risponde al nome formidabile di Rembrandt.TEATRO 92
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LA DOMANDA DELLA REGINA
Reduci dall’inaugurazione di una libreria, il Professore – sessantenne autorevole, intriso di una cultura enciclopedica – e Dario – giovane pubblicista e trainer – si trovano coinvolti in una cena. I due non si conoscono e si attardano a fumare una sigaretta nel ristorante dopo che gli altri commensali sono andati via. Presto Dario inizia a porre domande, con l’aria di chi vuole comprendere senza troppo scoprire le proprie carte. Inizia così una conversazione su più livelli, brillante e variegata, nella quale, alle domande di Dario, vengono restituite risposte articolate e complesse. E proprio sulla differenza tra complicato e complesso si gioca uno dei temi principali del dialogo tra i due. Fino all’arrivo di Annalisa, Lisa per il Professore, Anna per Dario. Il linguaggio, le conoscenze, la cultura dei tre protagonisti creano un elegante gioco delle parti, in cui la dinamica è affidata alla tessitura linguistica e ai dialoghi tra i personaggi. In questo inaspettato triangolo riemergeranno dinamiche del passato intrecciate alle storie presenti, senza però che il terreno di incontro trovi soluzioni oggettive, ma anzi generi grazie alla complessità della trama – nuove e inattese ambiguità. Un sofisticato e ironico play in cui la parola – scientifica, complessa, matematica, filosofica, poetica – costituisce la trave portante.
TEATRO 91
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IL GESTO DI PEDRO
(Roma-Sampdoria 1-0 del 14 dicembre 1975) Atto SestoL’ATTO VI del progetto DIECIPARTITE è dedicato all’odissea umana del calciatore Carlo Petrini, detto Pedro, scomparso nel 2012.
Petrini è stato autore di vari libri, tra cui ‘Nel fango del Dio pallone’, una violenta rapsodia autobiografica capace di suscitare un vero terremoto nel mondo del calcio.
In una partita giocata il 14 dicembre del ’75, Petrini, che vestiva allora la maglia della Roma, si rese protagonista di un gesto tanto semplice quanto sconcertante. Dopo essersi divorato una serie di gol già fatti, conquistò il centro del campo e alzò le mani per chiedere scusa a tutto lo stadio. Poco dopo segnò il gol della vittoria.
Questo ricordo è la chiave per addentrarsi nel cuore di un sistema calcio feroce e cannibale che ha fatto da scenario alla peripezia tragica di un uomo perseguitato dai farmaci, dalle procure, dagli usurai, e soprattutto da se stesso.
La conversione morale e letteraria di Petrini, susseguente alla tragica morte di suo figlio diciannovenne, è un evento di tale portata esistenziale da suscitare domande di significato assoluto. Una vera redenzione, nel senso più forte del termine. -
LA SCALA
‘La scala’ racconta una disputa a sei dal ritmo serratissimo che si consuma in presa diretta durante un cocktail ben augurale organizzato per festeggiare la ristrutturazione di un seminterrato al Nuovo Salario di cui hanno da poco preso possesso Mirko e Miriam. Con loro, una coppia di vecchi amici (Corrado e Terry) e un’altra coppia da poco conosciuta (Nicolò ed Elvi) che abita nello stesso palazzo. Fiore all’occhiello dell’approssimativo restyling, una scala che collega direttamente il seminterrato col marciapiede di fuori. Un estroso éscamotage ideato per evitare, a chi debba entrare ed uscire, complicati giri nel cortile esterno.
Tutto sulle prima sembra filare liscio, anzi… è un fluire ininterrotto di smancerie e
mondanità ai limiti dell’enfasi, sin quando qualcosa avviene e tutto cambia, con la scala che assurgerà al ruolo di protagonista assoluta.
Quel che avviene meglio non dirlo, certo è che gli effetti saranno esplosivi, e la simpatica riunione assumerà d’un lampo una metamorfosi impressionante. Scheletri nell’armadio, antichi rancori e antipatie inopinate prenderanno il sopravvento in una ridda pirotecnica di colpi di scena senza freni.
Commedia aspra quanto esilarante, ‘La scala’ mette a nudo ciò che in qualche parte di noi
quasi tutti siamo. Doppi e tripli, anche se sinceri. E dunque, spesso, come in questo caso, tremendamente comici.TEATRO 79
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IL LETTO
“Il letto” è un polittico composto di quattro quadri. Ogni quadro, un letto; ogni letto, una coppia; ogni coppia, una storia; ogni storia, un linguaggio. Unico filo rosso narrativo, il semplice dato esteriore dei nomi: tutti e quattro gli uomini, infatti, si chiamano Bruno, tutte e quattro le donne Chiara. Per il resto, da un pezzo all’altro, si spazia attraverso situazioni e generi diversissimi: dalla commedia di conversazione a sfondo ‘noir’ (‘Capiscimi’), ai lirismi minimalisti allusivi di inquietanti segreti (‘Credimi’); dalla scabrosità di erotismi tanto discussi quanto praticati (‘Guardami’), alle asperità strepitate di vicende violentemente ‘pulp’ (‘Salvami’).
Così, all’interno del perimetro di un letto, menzogne, amori, sesso, ferocia, tradimenti, accidie coniugali, tenerezze estenuate allestiscono le loro variegate e molteplici messinscene.TEATRO 76
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LA CASTELLANA (un noir)
e altri testi per attrice solistaEszrébet Bàthory è stata la prima serial killer iscritta nella storia del crimine. Più di seicento le sue vittime. Tutte fanciulle vergini dal sangue fresco, destinato a farsi cosmetico per la pelle della loro carnefice.
Un personaggio reale da cui nasce una creatura scenica densa di enigmi.
lei, infatti, la protagonista del noir che apre questa raccolta di ritratti al femminile. Un nugolo di donne violente e intemperanti, buffe e maldestre, affascinanti e ribelli. I sei testi pubblicati sono stati scritti in un largo ventaglio di anni che va dall’85 (secolo e millennio scorsi, dunque), al 2007.
Il primo a nascere è stato Kitty, l’ultimo La costellano (un noir).
Intervista ai parenti delle vittime e La schiava sono stati scritti negli anni Novanta. L’arpista, scritto negli anni Ottanta, è stato ripreso e modificato agli inizi del 2000.
Tranne Kitty e D’improvviso (che curiosamente condivide col primo la chiamata in causa di un criceto), gli altri pezzi che presentiamo hanno subìto nel tempo rifacimenti e integrazioni sino a giungere alle versioni attuali, del tutto inedite.TEATRO 70
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CONVERSAZIONE SUL LUOGO DELL’INCIDENTE
(Trasfigurazione cruenta di Jackson Pollock)In un bosco, mentre si fa notte. Qualcosa è accaduto, ma non è chiaro. Un uomo e una donna si tengono d’occhio l’un l’altra, avvinti e circospetti. Lui si chiama Jack, lei Ruth. Sanno di conoscersi ma stentano a ricordare i loro stessi nomi. Sanno di amarsi, ma sono entrambi incerti su cosa ciascuno dei due abbia da imputare all’altro. Qualcosa senza dubbio. Precipitati in un enigma, cercheranno complicità per risolverlo. L’anima ribollente di Jackson Pollock non è raccontata attraverso una drammatizzazione biografica. Non c’è New York, non ci sono tele stese in terra, non c’è Peggy Guggenheim, non c’è lo stuolo degli Irascibili nè pennelli vorticanti, ma Pollock si. Lui c’è. Esorbitante, addirittura. La sua febbre pulsa nei gesti, nelle parole, nell’affanno compulsivo che lo spingono alla comprensione di sè attraverso un’indagine condivisa con la sua misteriosa compagna e che si snoda in un racconto cadenzato dai ritmi inquietanti di un autentico thriller.
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DIDONE / ARSA
“Ovidio, nella sua vecchiaia, evoca Didone per interrogarla sulla storia da lei vissuta, sulla vita che declina e sullo svanire delle cose. Egli ritiene di aver compiuto, così, un gesto da fine intellettuale, da saggio ancora curioso della natura umana. In verità, è come se avesse operato un sortilefio stregonesco di cui non ha pieno dominio. La donna con cui si confronta gli rivelerà di non essere stata evocata, ma raggiunta. E dunque, dove sta avvenendo il loro colloquio? Forse nell’oltremondo? E colui che domanda, come mai si trova lì? (…) Non inferiore a quella di Didone è la passione di Sara, violenta e soavissima al tempo stesso, il cui nome anagrammato fa da titolo al testo cui dà voce”.
Dall’introduzione di Giuseppe Manfridi
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TRAFITTO DA LANCE | LA RIBELLE
CAMPANA: “Solo una, solo una è la risposta: via! / Via da questa italia e dall’inutile sua forza! / E dalle sue congreghe inutilmente forti! / Di pitocchi, in verità, e sciacalli. E dirlo posso, io li conosco bene. / Qui la miglior voce è uno sfintere di finocchio / e hanno ugola le trippe, e la pubblica opinione / issa la merda da un letamaio a un altro. / Dove le Alpi e dove le altre vie? Anche di neve o fossero di ghiaccio… / anche di fuoco, io le percorrerò. / Sia sciagurata questa mia terra dove / la maggioranza intona / madrigali ai suoi carnefici / e che si sazia, / come d’ossa, scarnando i suoi poeti / e i suoi spiriti più sani tratta come una farfalla / al supplizio della ruota, e gli prepara / nelle viscere i giacigli, e gli rimbocca / le negre sue lenzuola soddisfatta. (…)”
Da “Trafitto da lance”
“Io a te è così / che parlo. / E’ a questo te così / sconciato, Dio, / Dio mio, che parlo. / Ti va il colloquio? / Con me, / una madre. / Ma poi che madre / è più una madre / se è solo madre / d’un figlio morto? / Ma dimmi, forse / temi le donne? Chi?… / Temi le madri? E come mai? / Non son parte / funzionale / dell’ordigno / da te congetturato, dell’umano / consistere, ed allora? / Solo un colloquio! / Ti va? / Vis a vis? / Ce l’hai il coraggio? / Ce l’hai si o no? / No / o si?”
Da “La ribelle”
TEATRO 67