Simposio
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La rivista, in forma cartacea ed on line, si inquadra in un progetto unitario ed articolato che vede come momenti qualificanti la costituzione della biblioteca del territorio, che ha l’ambizione di raccogliere e divulgare quanto il territorio produce e quanto sul territorio è stato e viene prodotto, e l’introduzione della storia del territorio come momento fondativi della riflessione comune e della ricerca di una identità che non sia municipalistica nè nostalgica del passato, ma critica consapevolezza della vita di un popolo, delle sue lotte, delle sue positive tradizioni.
Non a caso questo numero iniziale raccoglie contributi riguardanti la questione meridionale, che è diventato il terribile convitato di pietra della politica e della cultura del nostro paese, senza pretese assurde di esaustività, ma solo come indicazione di tracce di un lavoro in progressione. La cadenza sarà per il momento di due numeri per anno scolastico ed il prossimo numero si aprirà ai contributi di quanti, pur non di questa scuola, sono sensibili alle problematiche proposte e vogliono entrare a far parte di una comunità di ricerca.
Aldo Viola
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IL PIEGHEVOLE Numero 0
Nr. monografico su R.M. de’ AngelisNel pieghevole si pubblicano parole e immagini.
Chi ha qualcosa da dire, lo dica subito.Il pieghevole
Aperiodico di letteratura e arte
A cura di: Alfredo Bruni, Maria Credidio, Salvatore Genovese,
Salvatore La Moglie, Gianni Mazzei, Paolo PellicanoREDAZIONE: C/O Alfredo Bruni,
Via Antioco 6
87011 Sibari
098174353
ilpieghevole@alice.itSupplemento alla rivista La Mongolfiera
Aut. Tribunale di Castrovillari N. 89/89 del 29 – 11 – 1989La collaborazione, che è da intendersi sempre a titolo gratuito, compresa quella dei curatori, è per invito e per accettazione. Il materiale pervenuto, che non verrà restituito, sani attentamente valutato. Ogni autore è responsabile delle proprie opere e delle proprie opinioni.
PAESE DI MIA MADRE
Voglio tornare al paese di mia madre,
dove mia madre riposa sotterra,
accanto agli ulivi sempreverdi
e alle spighe che cambiano colore.
Mia madre era di un altro paese,
ma, sposa, venne al nostro e ci restò:
come edera intorno al tronco di mio padre,
amorosa padrona del forte albero,
quante volte fiorì, tante rispose
alla voce del sangue: undici figli,
e io tra loro, invasero la casa;
si dispersero poi senza saluto.
Non è bello il paese di mia madre,
non ha statue, non penti, non emblemi,
è un povero paese di colline
sull’argilla malarica: le capre
vi stanno a guardia, e di guardia è la luna
lucida falce stanca di tagliare.
Se ci arrivo, non trovo che il ricordo
di lei come un’essenza in una fiala
e ciò mi basta per tornare a vivere:
un odore di timo e spiganardo
una ciocca di teneri capelli,
e quel suo passo lesto, e quel suo sguardo
sempre più dolce sempre più remoto.Raoul Maria de’ Angelis
Raoul Maria de’ Angelis (Terranova da Sibari 1900, Roma 1990) è tra i più rappresentativi scrittori calabresi. Il suo romanzo “La peste a Urana”, pubblicato da Mondadori nel 1943, fu al centro di una famosa querelle col premio Nobel Albert Camus, che nel 1947 pubblica “La peste”, dove si ravvisano molti punti di contatto col libro del de’ Angelis.
Per onorare il centenario della nascita di Raoul Maria de’ Angelis, lo scrittore Gianni Mazzei, in questo testo ripercorre, con un po’ di ironia, tutta la vicenda, dimostrando che la tesi del plagio da parte di Camus, non è affatto infondata.
I curatori de “Il Pieghevole”, che con questo numero inizia il suo cammino, ringraziano il dottore Ernesto de’ Angelis, che ha reso possibile la pubblicazione della poesia “Il paese di mia madre”. -
IL PIEGHEVOLE Numero 3
Numero monografico su Monica MaggiNel pieghevole si pubblicano parole e immagini.
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Se ti dovessi dire, figlia
Se ti dovessi dire
figlia
che cosa ho fatto finora
e di cosa essere fiera
ti racconterei la rincorsa di me e di non essere arrivata ancora.Dove vai? mi dico
saltando le scale con il fiato in gola.
Ad amare, vado
Ad annusare un respiro
A riprendere e lasciar andare.Seduta sulla mia poesia
che scorre sotto, come fiume
trascinante me
immagino un altro mondo.La mia mamma mi voleva moglie
Ti passo sopra
accanto intorno attraverso
ti scruto in ginocchio
ti annuso nell’aria e ti assaggiomordeva, lei, che aveva fame
chissà da quanto tempo
e io ignara e incolta padrona
me ne andavo a spasso
che neanche sentivo.
Beata te, amica mia
tu hai avuto il coraggio della donna
che partorisce da sola.Dalle tue labbra stillano le
gocce delle tue parole mi
regali ad occhi chiusi
piccole scaglie di te e me
che non lascio cadere in terra.
Un giorno mi sono svegliata
è stato come strappare la pelle di mia madre
uscire allo scoperto alla luce la città era
quella di sempre io non più.Lo stesso silenzio che crei
è quello che mi fa paura
sbatte sui muri bianchi il gemito
dell’amore che non ha ragione è
inutile, mi dico
cercare nei libri e nei salmi
la spiegazione della follia.Il cammino di molti altri
di Matilde TortoraNon mi era mai fin qui capitato di pensare che la Poesia potesse “rizzarsi come aspide” e mordere e devo il pensarlo ora, con un forte assenso e un’autentica emozione, ai versi di Monica Maggi. Sicché ogni volta che accon¬sentiamo a scrivere una poesia, dacché credevamo di essere intieri e di noi indiscussi padroni, cessiamo di essere gli ignari camminatori per via che credevamo di essere, prendiamo coscienza del magma, della notte, della fame che in noi cova come covoni attizzati in un campo a noi sconosciuto le cui fiamme imponendosi, mordendoci le gambe, d’ora innanzi si ergono, si pongono di fianco a noi, s’impongono alla vista, ci danno la rincorsa e ci consegnano immagini, parole, ritmi e suoni, si rivelano quali gemelli esigenti, compagni di passi del nostro viaggio diurno affannato metropolitano. Un Poeta diviene allora “sbocconcellato”, “morso”, coi piedi infangati, più solo eppure multiplo, se volge in basso il suo sguardo scorge la terra di tutti e narra poi il cammino di molti altri, se guarda in alto, può perfino carpire qualche segreto alla volta del cielo e, al risveglio, serbarne e consegnarne vivida memoria. Bellissima poesia questa di Monica Maggi, a tratti sapienziale, fatta di solitudine, di tanta audacia, di moltitudini, di morsi, di immagini davvero originali, di rincorsa, di identità e di modelli disattesi, vien voglia di guardarle le caviglie e di scoprirle alate.
Monica Maggi è nata a Roma. Dal 2002 insegna all’Università Roma Tre. Ha collaborato con Il Messaggero, VitaliO, Happy Web, Capital, For Men Magaine. Ha lavorato con TeleMontecarlo in “Gente sull’orlo di una crisi di nervi”, per Italia 1 nelle due edizioni di “Cronache Marziane”, con Stream per “Sex Selen e videtape”. Per Radio Capital ha scritto e condotto “Capital Hot Line”, striscia pomeridiana sull’eros. Attualmente ha una rubrica di attualità su Grazia, scrive per Linus, per Per Me, Bella, Di tutto, Geo, L’Espresso. Ha curato l’antologia poetica di versi femminili Ti bacio in bocca (2004). Nel 2003 esce La mia pelle è un cifrario, poesie per la Lietocolle di Como (nove edizioni). Nel 2006 il libro è stato rappresentato dall’Accademia del Dubbio al Teatro dell’Orologio nel lavoro Soffiando via i capelli dalle labbra, riscuotendo il tutto esaurito. Nel 2007 esce Calco (Lietocolle). Da marzo del 2010 è titolare e ideatrice di Libra, caffè letterario e libreria di Morlupo (Roma), e con la sua associazione culturale “LibrAria” organizza eventi e incontri poetici. A luglio del 2011 nasce, in collaborazione con la poeta Viviana Scarinci, Libra Poetica, unica libreria in Italia con una stanza interamente dedicata a testi poetici.
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IL PIEGHEVOLE Numero 1
Numero monografico su Alda MeriniNel pieghevole si pubblicano parole e immagini.
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A cura di: Alfredo Bruni, Maria Credidio, Salvatore Genovese,
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Perché questa odiosa bellezza occupa la mia mente
e non imbandisce un desco?
O tu non verrai a vedermi
perché invisibile il mare dell’amore
eppure io mi d’isimpegno per te.
Non vedi che sono morta?
Non vedi che non ho più un fiore nei capelli?
Che giro ignuda per casa?
e invoco la morte
che ha soltanto una falce femminile.
Ero un grano,
e la mia vita andava falciata dalle tue labbra.
Ho maledetto te
che hai spento tutte le lampadine
del mio teatro
la mia recitazione è finita.
Non troverai neanche il mio cadavere
perché tutti gli Angeli portarono in cielo
i poveri morti d’amore.Il tuo bacio atteso per mille anni:
mi hanno rubato tutto il bucato
l’avevo steso al sole per richiamare
i tuoi sguardi,
la corda che aspettava i tuoi baci
era la migliore
con quella corda ha strangolato
tutti
I miei panni al sole
erano la vela di Isotta
ma tu eri morto,
morto e non lo sapevi.A TUTTE LE DONNE
Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso
sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
malgrado le tue sante guerre
per l’emancipazione.
Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d’amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora cosa dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
e innalzi il tuo canto d’amore.Alda Merini (Milano 21 marzo 1931) esordisce a soli 15 anni, scoperta da Giacinto Spagnoletti. È considerata una delle più grandi poetesse contemporanee. Compì gli studi superiori all’Istituto Professionale Laura Solera Mantegazza, non avendo potuto frequentare il liceo Manzoni, in quanto respinta in italiano. Note le vicende della sua vita, durante la quale non ha mai tradito la sua vocazione e ha conosciuto le maggiori personalità della cultura.
Giuliano Grittini è nato a Milano nel 1951. Artista e fotografo, ha preso parte a numerose mostre d’arte nazionali e internazionali. Sue foto sono state pubblicate dalle maggiori testate e dalle più importanti case editrici italiane. Da oltre due decenni è legato da un forte legame di amicizia con Alda Merini, che ha fotografato più volte, riuscendo a cogliere l’essenza più profonda della poetessa milanese.
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In questo numero de il pieghevole presentiamo tre poesie di Alda Merini e due foto di Giuliano Grittini, che ringraziamo per averci permesso la pubblicazione. Le poesie sono tratte dal volume L’arte è una bellissima donna (© Giuliano Grittini – giugno 2008). La nota critica è stata curata dalla scrittrice e giornalista Monica Maggi, che insegna all’Università Roma Tre giornalismo e scrittura. -
IL FIACRE (già La colpa di scrivere)
Ed eccoci nel cuore del cambiamento. Doloroso. Tanto doloroso quanto necessario. Si chiude definitivamente il capitolo straordinariamente appagante de La Colpa di scrivere.
Ma non si chiude il libro.
Il viaggio continua, dunque. Ed è un viaggio che non rinnega ciò che un gruppo di amici, animati dalla passione per la letteratura, ha condiviso insieme per un tratto di strada.
Tuttavia siamo uomini, siamo mondi. Abbiamo le nostre idee, le nostre fragilità. Non esiste una ragione. Siamo tutti colpevoli. È la vita che ci rende tali.
Due anni passati insieme. Otto numeri straordinari. Con firme di grande spessore. Una linea editoriale invidiata da tutti. E tante altre ragioni per essere orgogliosi del lavoro fatto. Eppure non sono bastati a tenerci insieme. I motivi? Tanti. La vecchia cultura meridionale che fatica ad accettare una visione più contemporanea, più europea.
E ancora la linea della qualità che alla fine ha finito per scontentare tutti perché ha limitato, e di molto, alcuni giochi di scambio.
Ora si riprende il percorso con Il fiacre n. 9.
Bisognerebbe spiegare le ragioni di questo nome. Qualcuno potrebbe individuarne riferimenti letterari (Xavier de Montépin) o cinematografici (Mario Mattoli).
Non sarebbe totalmente sbagliato. Ma se è vero che essere è essere nominato, la denominazione crea il valore, l’essenza. E la crea, gradatamente, in una nuova orbita carica di energia emotiva e simbolica.
C’è il fiacre che richiama al movimento. E poi c’è il n. 9 che ricollega ad una continuità dalla quale non si può prescindere.
Penso che possa bastare.
Due parole soltanto su questo fascicolo. È dedicato a Gadda. Un autore straordinario. L’augurio che ci facciamo è che gli interventi di La Moglie, Muzzioli, Mangone, Lo Passo e Salari contribuiscano a farvelo conoscere meglio e magari accendino in voi il piacevole desiderio della lettura.
Vi lasciamo ricordandovi che il prossimo numero, la cui uscita è prevista per il mese di giugno, sarà dedicato a Cristina Campo.La Direzione
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IL PIEGHEVOLE Numero 2
Numero monografico su Dante MaffiaNel pieghevole si pubblicano parole e immagini.
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L’aereo cade a picco nel mare.
L’addio è concluso, ineluttabile.
Poi
altezza, larghezza, rumore
assenza del cuore.Hanno la camicia di forza
uomini e grattacieli.La Mela ha fretta di non so che cosa,
come vivesse dentro lugubri presagi,
nell’essenza d’un nulla
che vuole diventare forma.Io mi rifugio nella vastità
d’un melograno ch’era davanti casa
a Roseto e soleggiava beato.I sussurri sono bendati o distrutti
da troppi urli neutri. La metropolitana
è il preludio d’un inferno che non m’appartiene.Messa nella posizione giusta
la pianta di basilico si fa regina,
misteriosamente si fa sapore.Ma che nascesse anche qui mi disorienta,
significa che in qualche maniera
l’America appartiene alla terra.Da uno spazio indefinito
arrivano rigurgiti e ululati,
imitazioni di tamburi impazziti.Dove hanno imparato le filastrocche
queste strade affollate,
questi fiumi di anonimi assenti?Come dentro un guado di sabbie mobili,
inseguito da cani spelacchiati,
mi dondolo nella baia
che banalmente abbaia.Ancora alberi a convegno
con la mia ansia ormai logora.
Sono gli ontani di Roma a parlare.
I passanti a Little Italy
hanno 1′ aria di casa, povero me!
Entro nel niente illibato
di sillabe sgualcite, di foglie
un po’ folli, di salti mortali
che vanno da Roseto a Nuova York.Non avevo fatto nulla
e mi sentivo in colpa
così, all’improvviso,
come chi ha ucciso
qualcuno e non se ne ricorda
se non a sprazzi
e si dispera.Accaduto per caso,
lei si stava sporgendo
da un parapetto, a me
prudeva il naso, le vidi
le mutandine di seta celeste
e l’orgasmo fu perentorio.Un rullare di favole oscene
imperversò nel sangue.
La Mela fu quella d’Adamo,
fu una puttana eternamente sconcia.Forse lo scrupolo, il senso di colpa
che va e viene e non mi lascia in pace.
Non so cos’è l’America, una farsa,
un barlume, una finta cicala,
una scala verso il nulla, una fanfara…
Io non voglio più starci in questa plaga
di odori di cipolle e di carote,
non voglio diventare lo squalo che galoppa
nel nonsenso, nel dilagare
di metafore corrotte.Per prima cosa ho baciato la terra a Fiumicino
ed è sparita la paura.
Le Timberland per le figlie
tintinnavano nello zaino.
Non hanno trovato da ridire alla dogana.Mi è venuta incontro la voce
di Totonno il pescatore
che gridava impossibili storie di mari,
nel corpo fiocine, alte maree, il soffocamento,
il pesce spada infuriato.Un ricordo che non c’entra niente,
ma mi ha riportato a Roseto,
al mare che non s’adira mai,
e non è mai spaventato.Dante Maffia è nato a Roseto Capo Spulico (Cosenza) il 17 gennaio 1946. Trasferitosi a Roma ha esercitato vari mestieri per sopravvivere e frequentare l’Università. È poeta, narratore, saggista e critico d’arte. Il suo primo libro, Il leone non mangia l’erba, con prefazione di Aldo Palazzeschi, è del 1974. Nel 2008 ha pubblicato con Mursia il romanzo Il poeta e lo spazzino (prefazione di Walter Veltroni).